Le ‘primule rosse’ del terrorismo. Pietrostefani in fuga come Battisti

Fondò a Pisa Lotta Continua: vive protetto dalla ‘Dottrina Mitterand'

Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani salutano dalla finestra della questura di Pisa;  la foto dell’Ansa ritrae i due fondatori di Lotta Continua

Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani salutano dalla finestra della questura di Pisa; la foto dell’Ansa ritrae i due fondatori di Lotta Continua

Pisa, 15 gannaio 2019 - La cattura di Cesare Battisti in Bolivia è servita a gettare un fascio di luce su molti protagonisti della lunga e sanguinosa stagione del terrorismo italiano accomunati dalla latitanza trascorsa per lo più in Francia. A garantir loro l’impunità è la cosiddetta “dottrina Mitterrand” che nega l’estradizione “ai condannati per atti di natura violenta ma d’ispirazione politica”. Di questa “liberalità”, da più parti giudicata eccessiva, ne godono oggi personaggi come Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti, figure di primo piano della colonna toscana delle Brigate Rosse condannate all’ergastolo per l’omicidio di Aldo Moro. E ne gode anche un personaggio che con la recente storia pisana ha avuto molto a che vedere.

Si tratta di Giorgio Pietrostefani, fondatore con Adriano Sofri di Lotta Continua e come lui condannato a 22 anni di reclusione insieme a Leonardo Marino e Ovidio Bompressi per l’omicidio Calabresi. Un delitto che, secondo la sentenza ormai definitiva, maturò proprio a Pisa nel maggio del 1972, come reazione alla morte del giovane Franco Serantini massacrato dalla polizia durante i disordini provocati in seguito al tentativo di Lotta Continua di impedire il comizio elettorale del deputato missino Beppe Niccolai. Il 13 maggio 1972 in piazza San Silvestro si svolse una grande manifestazione organizzata da Lotta Continua per ricordare il giovane anarchico. In quell’occasione, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani avrebbero dato l’ordine a Leonardo Marino e Ovidio Bompressi, entrambi militanti di Lc, di recarsi a Milano per uccidere il commissario Luigi Calabresi. Era lui l’uomo che il gruppo di estrema sinistra riteneva responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato nel dicembre del ‘69 da una finestra della questura di Milano dopo essere stato fermato per l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Ed era lui che simbolicamente doveva pagare per la morte del ragazzo travolto dalla polizia.

Il 17 maggio, quattro giorni dopo la manifestazione di Pisa, Calabresi fu raggiunto sotto casa, a Milano, e ucciso con quattro colpi di pistola. L’indomani sul giornale Lotta Continua l’uccisione di Calabresi fu definita «un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia». Leonardo Marino, pentito dopo molti anni e divenuto l’accusatore di Sofri e Pietrostefani quali mandanti e di Bompressi che insieme a lui sarebbe andato a Milano a sparare a Calabresi, fornì un racconto preciso poi accreditato dalla sentenza. Di fronte a Pietrostefani che dopo la morte di Serantini insisteva perché sia lui che Bompressi andassero a “giustiziare” Calabresi, Marino volle avere conferma. «Per questo – disse – andai a Pisa a parlare con Sofri, per avere la certezza che Adriano fosse d’accordo e non trovarmi dinanzi a un colpo di mano di Pietrostefani, sostenitore della linea militarista di Lotta Continua. E Adriano mi disse: ‘Fatela questa cosa, e speriamo che ci vada bene’».

L’incontro con Sofri di cui parlò Marino sarebbe avvenuto nel bar che ancora esiste all’angolo fra piazza San Silvestro, dove si era svolta la manifestazione, e via Santa Marta. Nelle more del processo che si aprì dopo le rivelazioni di Marino, Giorgio Pietrostefani, prevedendo la sua condanna, nel 1997 varcò la frontiera e si stabilì a Parigi dove tuttora vive con la famiglia. Diversa la sorte degli altri protagonisti di questo capitolo della stagione del terrorismo. Leonardo Marino ottenne un cospicuo sconto di pena in quanto collaboratore di giustizia; Ovidio Bompressi, dopo un breve periodo in carcere fu messo in libertà in virtù di una perizia medica e ha poi ottenuto la grazia dal presidente della repubblica Napolitano. Adriano Sofri, che avrebbe potuto fare come Pietrostefani e varcare il confine, decise invece di varcare la soglia del carcere di Don Bosco e i suoi conti con la giustizia si sono chiusi nel 2012. Vedremo ora se l’auspicio del presidente Mattarella dopo la cattura di Battisti (“che questo avvenga per tutti i latitanti fuggiti all’estero”) avrà un seguito anche per Pietrostefani. Per lui potrebbe essere l’occasione per tornare a Pisa, dove nei lontani anni Sessanta (è nato all’Aquila nel 1943, figlio di un prefetto) venne a studiare impegnandosi subito nelle proteste studentesche che dettero vita al Sessantotto. Solo che stavolta ad attenderlo non ci sarebbero le aule e i luoghi della contestazione ma una cella del carcere di Don Bosco. Più o meno come è accaduto a Sofri.