
La sala delle Croci lignee dentro il San Matteo
Pisa, 7 febbraio 2019, Una media di trentadue ingressi al giorno: in un anno solo 12.277 biglietti e un incasso di 31.683euro. Il Museo di San Matteo, cenerentola della città, da anni attira l’attenzione dei pisani per lamentarne il bassissimo numero di visitatori, le saltuarie chiusure dovute alla cronica mancanza di personale, e la cesura con un vero sistema museale cittadino. Le rilevazioni dell’Ufficio di Statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali certificano per il 2017 (i dati del 2018 sono in corso di pubblicazione) che il Museo Nazionale di San Matteo è stato visitato da 7.004 persone a pagamento, 5.273 gratis, per un totale di 12.277 ingressi e un introito di 31.683 euro. Una media di trentadue ingressi al giorno. Dati in calo rispetto al 2016 e che sanno di paradosso se si considera che, degli oltre tre milioni di visitatori dei monumenti di piazza dei Miracoli, il Museo sul Lungarno avrà forse intercettato in proporzione lo 0,4%. È come se, in teoria, ogni 1000 visitatori dei monumenti della Piazza, solo 4 si spingessero oltre la Torre. La percentuale rimpicciolisce ancora se si considera che il combinato San Matteo/Palazzo Reale, venduti come circuito al pubblico, è interessato, nel 2017, soltanto a 409 visitatori.
Numeri magri per due importanti “pezzi” del vagheggiato sistema museale dei Lungarni, di cui da anni si parla come concezione astratta e che i dati relegano nell’inferno delle buone intenzioni. Ma c’è un altro problema, perché nonostante i timidi tentativi dei diversi direttori che si sono succeduti alla sua guida, l’ultimo della compianta Alba Macripò, il San Matteo non è mai riuscito a scuotersi da dosso quell’immagine vecchia e appesantita che tuttora conserva e che, in qualche modo, poco attira. Eppure questo museo, così sofferente, è davvero uno scrigno di tesori e di storie poco note che meriterebbero di essere riscoperte e godute se solo, o se almeno, la loro musealizzazione fosse resa più agevole e moderna. Una piccola rivoluzione che lo stato attuale dei beni culturali cittadini in mano allo Stato fa apparire lontana e anzi vittima di continue riforme che hanno via via depotenziato Soprintendenze e Musei e che, alla tutela e alla valorizzazione con corposi investimenti, hanno preferito tagli e risparmi. I pochi introiti dai biglietti di ingresso non sono difatti sufficienti per programmare la sperata rivoluzione. Neppure negli anni passati, quando ancora il San Matteo era guidato da un direttore in via esclusiva (oggi, la riforma, ha decentrato le competenze), si riuscì ad approfittare della disponibilità di finanziamenti da parte di una fondazione filantropica pisana poiché un progetto concreto e complessivo non fu mai presentato.
Altro tema scottante riguarda il personale. In seguito alla riforma Franceschini, i Musei di San Matteo e Palazzo Reale non dispongono più di personale tecnico amministrativo, confluito in larga parte in Soprintendenza, e nel frattempo anche diversi custodi sono andati in pensione senza essere sostituiti. E in questo anno nuovi pensionamenti sono previsti. E se già da alcuni anni il problema delle ‘inspiegabili’ porte chiuse del Museo o delle aperture a singhiozzo sollevava rabbia e strali, fra poco tempo potrebbe essere la norma.
- IL CASO: NESSUNO VUOLE FARE IL DIRETTORE. DIFFICILE STARE AL TIMONE E PROGRAMMARE INIZIATIVE SE MANCANO PERSONALE E INVESTIMENTI
«Posto di direttore? No, grazie». Come navi “senza nocchiere” sono i due Musei nazionali di Pisa, privi di un direttore da tempo e destinati a non averne uno ancora per chissà quanto col rischio di acutizzare una situazione stagnante e ormai compromessa. Stessa situazione per il Museo della Certosa di Calci, dopo il recente pensionamento della sua direttrice. Problemi su problemi già aggravati dalle recenti e fallimentari riforme che hanno assestato il colpo di grazia a un sistema statale dei beni culturali già agonizzante. Perché?, cosa succede a Pisa? Succede che la riforma studiata dall’ex ministro Franceschini ha separato la tutela dalla valorizzazione e quindi le competenze di Musei e di Soprintendenze, così creando non solo caos in uffici e strutture già fragili e che andavano avanti per inerzia, ma anche oggettivi problemi di gestione. Un esempio? All’interno del Palazzo Reale convivono il Museo di Palazzo Reale, che dipende dal Polo Museale Regionale con sede e direttore generale a Firenze, e la Soprintendenza che ha invece un proprio responsabile, Andrea Muzzi, per le province di Pisa e di Livorno; il personale che lavora nell’edificio, poi, è suddiviso (in modo non sempre proporzionato alle esigenze) fra i due enti, ciascuno con turni e orari diversi che hanno effetto anche sui servizi offerti.
Due musei a metà, interrotti si direbbe, perché la divisione del (poco) personale ha avuto l’effetto di privare San Matteo e Palazzo Reale di uffici tecnici e amministrativi, cioè di una delle condizioni essenziali che differenziano un museo da una ... esposizione permanente. Musei impoveriti, che si ritrovano ad avere come dipendenti soltanto pochi custodi e un restauratore. E c’è di più, perché, come si diceva, la mancanza di un direttore che risieda stabilmente a Pisa o che si occupi in prevalenza dei musei nazionali cittadini moltiplica i problemi. A differenza di alcuni importanti musei autonomi e di più piccole realtà centralizzate che propongono iniziative, valorizzano le collezioni, rendono vive quelle realtà attirando famiglie, giovani e gruppi, il San Matteo e Palazzo Reale rimangono contenitori pieni di potenziale ma esanimi, ravvivati talora da piccole iniziative di associazioni. Ma non basta. Da tempo, ad esempio, non vengono organizzate mostre con i meravigliosi materiali qui conservati. La buona volontà di chi li amministra e li dirige deve insomma fare i conti con un implacabile senso del reale. Perché? «Perché – spiega il direttore del Polo Museale Regionale, Stefano Casciu – in mancanza di un direttore, di personale e di investimenti è impossibile programmare iniziative culturali e ancor meno i necessari cambiamenti. È vero, il San Matteo, che è uno dei musei più importanti d’Europa, va profondamente rinnovato, ma questa volontà deve andare di pari passo con mezzi e forze».
Casciu è il direttore di 49 musei in tutta la Toscana, una responsabilità immensa e complessa e che si somma a un altro problema, quello degli «interpelli deserti». Dopo la morte di Alba Macripò, e la breve parentesi di una funzionaria poi andata in pensione, la direzione generale di Firenze aveva aperto degli interpelli in cerca di un direttore per i musei pisani. Ma nessuno ha mai risposto, in questi anni, perché, spiega ancora Casciu: «nessuna struttura si priva di figure professionali interne e importanti», per di più per ereditare contenitori pieni di bellezze ma vuoti di personale tecnico-amministrativo e con risorse esangui.
- SAN MATTEO: MAI REALIZZATO UN CATALOGO DEL MUSEO. E LE STRAORDINARIE OPERE D’ARTE SONO ESPOSTE IN STANZE BUIE E CON CRITERI ANTIQUATI
Quanti tesori custodisce il Museo Nazionale di San Matteo? Un compendio di storia dell’arte pisana conservato in un luogo di grande bellezza e oggi malconcio. Capolavori straordinari, poco noti finanche ai pisani e difficilmente conoscibili visto che, neppure in anni più rosei, è stato mai realizzato un catalogo né scientifico né divulgativo. Un’assenza che, per certi versi, influisce sul controllo. Si ricordi la facile sparizione, denunciata nel 2014, di dodici dipinti mandati a restaurare nel 2002 e mai rientrati al Museo. Questi furono ritrovati venduti nel mercato antiquario grazie alla segnalazione di uno studioso che riconobbe nel catalogo di un’asta parigina due opere di scuola fiamminga.
Dal chiostro fino al primo piano, il San Matteo con le sue opere d’arte pittorica e scultorea fa come da cerniera ai molti tesori disseminati in città e degni di essere conosciuti in completezza. Un esempio? È, al piano terra, la parte sommitale del monumento funebre della famiglia Della Gherardesca, il cui sarcofago è conservato nel Camposanto Monumentale ma il suo luogo d’origine è nella chiesa di San Francesco. Diversi cultori di pisanità da anni sperano che prima o poi si prenda la decisione di ricongiungere il monumento. Il restauro della chiesa di San Francesco potrebbe quindi essere una nuova occasione per rivalutare quell’idea.
Altra operazione da tempo attesa è la ricollocazione della balaustra della Spina, staccata dalla chiesina sul Lungarno e oggi depositata al San Matteo assieme ad altri monumenti “orfani”. La musealizzazione delle trecentesche sculture della Spina, ora esposte in una sala dentro il San Matteo ad altezza d’uomo, fa poi storcere il naso agli addetti ai lavori e risulta incomprensibile ai non specialisti: perché statue concepite per essere guardate dal basso, e perciò caratterizzate da evidenti asimmetrie funzionali alla prospettiva, vengono presentate ai visitatori in una visione distorta? Per di più allineate, una accanto all’altra, senza contestualizzazione e di narrativa che possano in qualche modo interessare i visitatori ed educarli alla storia dell’arte.
E ancora, tocca ammirare le magnifiche croci lignee, opera di grandi maestri come Giunta Pisano anch’esse prive di contestualizzazione e collocate entro una sala buia, di poco respiro rispetto allo spazio che meriterebbero. Così anche per la testa di San Lussorio, risultato dell’arte di Donatello, relegata in una stanzina, o per il San Paolo di Masaccio, appeso a una anonima parete di passaggio fra una sala e l’altra, mentre la Sacra Conversazione del Ghirlandaio si confonde, e quindi non si nota, fra le opere di artisti minori. Criteri di musealizzazione vieti e sorpassati, assenza di racconto e di contestualizzazione sono oggi la dolente cifra del San Matteo. E poi ci si domanda perché non attragga.
- LA FOTOTECA È CHIUSA DA SETTEMBRE: L'ULTIMO ADDETTO È ANDATO IN PENSIONE. UN PATRIMONIO DI IMMAGINI CHE RESTA 'INVISIBILE'
Le opere d’arte del Museo di San Matteo, quelle catalogate e classificate, sono raccolte nel vasto archivio della Fototeca che, in seguito alla divisione delle competenze fra Musei e Soprintendenza, è rimasto di proprietà della sede fisica in cui si trova, cioé la Soprintendenza, a Palazzo Reale. Così, gli studiosi, e non solo, che desiderino consultare o utilizzare quel patrimonio d’immagini per studi o pubblicazioni, devono rivolgersi ai responsabili della Soprintendenza. Ma dal primo settembre, quando anche l’ultimo addetto è andato in pensione, non c’è più nessuno che possa dedicarsi a quel prezioso servizio e la Fototeca è chiusa. Per spirito di servizio, alcuni funzionari della Soprintendenza, già gravati dalle responsabilità delle loro mansioni, rispondono ad alcune richieste. Ma il problema resta e nebuloso è il futuro. E la possibilità di nuove assunzioni non è nell’aria.