di Carlo Venturini
Questo pomeriggio, alle 18 presso il Museo delle navi antiche, il Pisa Book Festival festeggia i venti anni del commissario Bordelli con colui che gli ha dato i natali, lo scrittore fiorentino Marco Vichi. Sempre Vichi presenterà la sua nuova uscita per Guanda, "Non tutto è perduto". E la suspence continua perché non è detto che nel nuovo libro di Vichi ci sia il commissario "perché il nuovo romanzo è una storia che mi è venuta a cercare, prendendomi per il collo". Venti anni del commissario Bordelli. Hai mai pensato quando iniziasti, ad accompagnarlo fino alla pensione?
"No, non lo immaginavo, il commissario Bordelli è nato per gioco, sull’onda dell’entusiasmo per quel grandissimo scrittore di Dürrenmatt, che ha ’usato’ senza paura il genere poliziesco per fare profonde indagini sull’uomo e sull’intervento del Caso nella vita. Poi il commissario è andato in pensione e l’ho seguito in questa sua nuova condizione".
È subentrata un po’ di stanchezza in Vichi-Bordelli? Oppure Vichi e Bordelli, assieme alla compagnia ’John Fantesca‘, si divertono ancora?
"Quando si tratta di scrittura, non so cosa sia la stanchezza. Mi diverto a scrivere da sempre e sempre di più, con o senza commissario. È tutto quello che mi accade mentre scrivo a divertirmi, anche se ancora non ho capito bene cosa sia".
Pensione tempo di bilanci. Inevitabilmente qualcosa si perde e qualcosa si prende.
"Un commissario, un medico e ci metto anche un giornalista (tu lo sei), in pensione non va mai. La pensione può anche essere una condizione interiore, in effetti. Di certo a non andare mai in pensione sono gli scrittori… che non vanno mai in vacanza e sono sempre in vacanza. È così almeno per quelli che si divertono a scrivere".
Il Franco Bordelli a chi può assomigliare tra i tanti commissari della narrativa? Può essere forse associato al detective Pepe Carvalho: un simile approccio un po’ confusionario alla vita, alla professione, ai rapporti con le donne?
"Non leggo molti polizieschi, a dire il vero, e non conosco il personaggio di Montalban. Quando ci sono delle somiglianze, a volte può essere per un altro motivo: abbiamo gli stessi ’padri’, primo fra tutti il grande Simenon".
Usi il genere poliziesco per parlare di altro. È evidente: tratti fatti di cronaca vera, fatti storici, fatti sociali veri e propri. I tuoi sono romanzi e il protagonista è un commissario, o è sempre il commissario a dettare la storia?
"Da lettore amo i romanzi che mi raccontano l’animo umano, non importa se c’è un commissario, un impiegato che dice sempre ’avrei preferenza di no’ o un giovane disperato che uccide per sbaglio due vecchiette. E quando scrivo mi affido alla storia, la inseguo, curioso di capire dove mi porterà e in quale modo. La scrittura non è invenzione, ma scoperta".
Gli aggettivi affibbiati a Bordelli nelle recensioni sono tanti: sornione, pigro, abitudinario, disordinato. Se fosse un animale quale sarebbe?
"Forse… un rinoceronte".
Cosa puoi raccontarci del nuovo libro senza spoilerare?
"La nuova uscita non è un romanzo con il commissario Bordelli. Ma non aggiungo altro, se non che è una storia che è venuta a cercarmi, mi ha afferrato per il collo e mi ha trascinato via".
Hai mai ricevuto gratificazioni ufficiali dalle forze dell’ordine?
"Ho scoperto, non senza restare sorpreso, che molti alti funzionari delle questure sono miei lettori. E se non mi hanno arrestato vuol dire che si sono divertiti".