La bellezza immobile, "Pisa Metafisica" negli scatti di Nicola Gronchi

https://www.lanazione.it/pisa/cronaca/foto/la-bellezza-immobile-pisa-metafisica-negli-scatti-di-nicola-gronchi-1.5129977 Il reportage del noto fotografo d'arte per i lettori de La Nazione

Nicola Gronchi, fotografo d'arte

Nicola Gronchi, fotografo d'arte

Pisa, 30 aprile 2020 - L’arte e la poesia si possono trovare anche nell’assenza e nella irripetibile immobilità che da quasi due mesi si tocca, carnale, nel centro storico di Pisa. L’assenza ha silenziato i rumori e il vociare, ridotto al nulla movimenti febbrili di passi e di mezzi. Rari uomini, quasi immoti. Tutto è fermo e la sensazione dei pochi che per necessità si muovono nella città deserta è di trovarsi dentro una foto vivente. In questa Pisa irripetibile, “in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto”, lo sguardo del fotografo d’arte Nicola Gronchi “fruga d’intorno” e scova quel lirismo che in moltissimi, invero, hanno in questo tempo riscoperto da dentro casa, collegati a social e computer scambiando, fra nostalgia e malinconia, vecchie foto della città che aspettano di ripercorrere. Un’immagine di Pisa che forse mai più di ripeterà. Gronchi, laureato in storia dell’arte e noto fotografo, ha firmato importanti cataloghi di Musei e volumi d’arte e collabora anche con l’Opera della Primaziale Pisana, Fondazione Pisa e Palazzo Blu.

E, prima che il tempo ci riporti “nella città rumorosa dove l’azzurro si mostra soltanto a pezzi”, il fotografo regala a La Nazione e ai suoi lettori le immagini di ‘una primavera inerte’, perché non resti senza memoria, scattate andando da solo ‘nell’aria di vetro’ di un mattino. Fra gli uomini che non si voltano. Col nulla dietro. È una geografia di luoghi in viste inusuali, si direbbe ‘controsenso’, che l’effetto del bianco e nero svela, non subito, a chi guarda e invita come a scavare nella memoria. Così ogni luogo, un Lungarno o la piazza dei Miracoli, ogni angolo o insegna tornano a colori nel recupero del ricordo e di una o di molte emozioni. E il cuore si empie di simboli. Gronchi, perché ha scattato queste foto? “Per lasciare una testimonianza di come si presenta la città in questo momento. Pisa è una delle mete più importanti dei flussi turistici della Toscana e sede di importanti istituzioni universitarie. La presenza umana, soprattutto nel centro storico, è quindi di norma costante. I nostri occhi fino a ieri erano abituati a convivere con queste “presenze”, adesso, invece, la situazione è come rovesciata e gli elementi architettonici ed urbanistici hanno preso il sopravvento”. Come ha scelto luoghi, momenti, angolazioni e prospettive? “Quando sono uscito per fotografare avevo già in mente cosa fare. Il titolo che ho dato al reportage, Pisa Metafisica fa già capire molto: volevo riprendere spazi ampi giocando sulle prospettive e sui contrasti di luce e ombra. C’è un riferimento preciso a De Chirico: in pratica, solo a causa del Coronavirus è stato possibile rappresentare la città al di là della fisica, mostrare una visione inusuale svelando il lato insolito che si cela dietro la banalità del quotidiano”. Perché in bianco e nero? “In questo servizio, il bianco e nero rappresenta una scelta stilistica ben precisa: il colore distrae mentre l’uso del bianco e nero ci aiuta a soffermarci sull’essenzialità della scelta compositiva”. Per lei fotografo d’arte e di opere d’arte cosa ha significato ritrarre più prosaiche scene all’aperto? “Nella fotografia professionale per i beni culturali si cerca sempre un’immagine “pulita” dove predomina il soggetto-arte dosando con cura gli elementi che potrebbero disturbare la scena, un edificio certamente vive nel suo contesto, ma lo si apprezza al meglio se riusciamo a limitare il numero di auto e di persone presenti al momento dello scatto. La fotografia, in quanto arte fissa un momento unico, quell’hic et nunc che Walter Bejamin poneva come elemento irripetibile nello spazio e nel tempo. Quindi sì, l’arte statica rispetto a quella cinetica è sicuramente arte dell’immobilità”. Cosa raccontano queste foto? “Mi piacerebbe che possano aiutare tutti noi a riflettere. Che siano, insomma, come un monito a rispettare questa Terra che gratuitamente e meravigliosamente ci ospita e che purtroppo stiamo stravolgendo. Questi sono gli scenari che ci aspettano se non interveniamo concretamente e in tempi rapidi. Le foto rappresentano la bellezza dei luoghi insieme alla tristezza dell’assenza”. Come ha iniziato questa professione? “Mi ritengo molto fortunato, perché ho potuto unire due grandi passioni: la fotografia e l’arte. Ho armeggiato con le macchine fotografiche sin da piccolo stampando in camera oscura; alle superiori le mie passioni sono sbocciate completamente grazie al mio professore d’italiano Pino Rossi, grande appassionato di storia, arte e fotografia; poi mi sono iscritto a Lettere con indirizzo storico-artistico e già durante gli studi sono diventato professionista occupandomi d’arte. In quegli anni fu importante l’incontro con il professore Roberto Paolo Ciardi con il quale ho studiato prima e lavorato dopo. Mi ricordo sempre il nostro primo incontro… Durante il primo anno mi presentai al suo primo ricevimento palesandomi oltre che come studente anche come fotografo d’arte. Lui mi fissò per alcuni secondi e poi, seduto alla sua scrivania piena di libri, senza neppure girarsi, mi indicò delle stupende foto che aveva alle sue spalle dicendomi: ma lei è in grado di fare questo? Io con una certa presunzione risposi di sì. Da allora cominciò la nostra collaborazione su tanti volumi d’arte”. Oggi di cosa si occupa? “Continuo ad occuparmi di fotografia per i beni culturali: pittura, scultura, architettura e arte contemporanea realizzando immagini per cataloghi, mostre, volumi d’arte girando un po’ per tutta la nostra meravigliosa Italia. Faccio anche fotografia industriale, commerciale, still life e ritratti. Insegno anche Fotografia all’Accademia di Belle Arti Alma Artis qui a Pisa, punto di riferimento per i giovani artisti”. Quali sono i suoi riferimenti nella fotografia? “Il fotografo che prediligo in assoluto è Robert Mapplethorpe, maestro nella composizione e nella tecnica di illuminazione: i suoi nudi nonché gli still life sono dei capolavori di perfezione formale; poi Gabriele Basilico, uno dei più grandi fotografi di architettura e urbanistica a livello internazionale e infine Oliviero Toscani, personaggio un po’ spigoloso ma sicuramente un caposaldo per creatività e forza espressiva”.