Bruno Paggi, le lettere ritrovate

Pubblicato il carteggio tra il chirurgo e la moglie, entrambi ebrei. Il dramma delle leggi razziali e della guerra

Un pacco di lettere ritrovato dopo 80 anni e in quelle pagine ingiallite dal tempo una storia di famiglia, densa di amore e paure confessate o dissimulate, nella ricerca di momenti di normalità e vita familiare negata da una tragedia in corso. Quelle lettere, scambiate tra Bruno e Milena marito e moglie, ebrei, sono state raccolte e pubblicate dalla nipote Vera Paggi in "Milena Cara – Lettere 1939-1952" (ed. IlMioLibro) che sarà presentato on line il primo febbraio alle 18 nel corso di un evento organizzato dal Comune di Pisa nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria.

Bruno Paggi è un chirurgo e professore universitario a Pisa che nel 1938 deve lasciare la cattedra in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Milena Sermoneta appartiene a una famiglia romana di rammendatrici e per oltre dieci anni attende il ritorno del marito mentre cresce da sola i loro sette figli. Con essi si sposta da Pisa a Firenze e poi a Milano e infine in Svizzera per sfuggire alla deportazione. In questo periodo, continua la corrispondenza con Bruno, che da Londra è costretto a partire per il Venezuela. "La storia di mio nonno – racconta la nipote Vera Paggi, giornalista Rai – fa parte delle Vite Sospese ricordate in una cerimonia del 2018 da Università di Pisa, Normale, Sant’Anna e Comune. Nel 1935 vince la cattedra di chirurgia e insegna e lavora al Santa Chiara, ma tre anni dopo viene cacciato dall’Università e per mantenere la famiglia emigra a Londra. Lavora nell’ospedale italiano e tenta di portare la famiglia lì, senza però riuscirci. Qualcuno però gli consiglia di tentare in Venezuela, così nel 1940 s’imbarca". "Bruno – prosegue Vera – racconta in una bellissima lettera il suo viaggio a bordo del transatlantico Conte Biancamano. Fu quella l’ultima crociera perché poi scoppia la guerra. Così si infrange la speranza di riunire la famiglia che resta separata fino al 1947". Intanto Bruno lavora come medico rurale in Amazzonia e nelle lettere racconta il Paese, le difficoltà di costruire un ospedale in un luogo in cui manca l’acqua. Nel 1942 la corrispondenza s’interrompe per riprendere poi nel 1944 grazie alla Croce Rossa Internazionale Svizzera che riesce a mettere in contatto Bruno e Milena tramite la mamma di lei che si trovava a New York. "In quei due anni Bruno pensò che fossero tutti morti", spiega Vera Paggi. Alla fine della guerra, nel 1947, la famiglia torna a riunirsi e vive a Pisa in una villetta in piazza Manin. Bruno riottiene la cattedra ma si ammala dopo due anni di un tumore al polmone. Viene ricoverato a Milano dove morirà nel 1951. L’anno dopo morirà anche Milena che nel frattempo scopre che il figlio maggiore, partigiano, era morto anni prima.

Eleonora Mancini