“Referendum e firme digitali, sì a più partecipazione ma servono nuovi equilibri”

Parla il costituzionalista Stefano Ceccanti

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 20 settembre 2021 - Referendum e firme online, non è tutto oro quel che si digita. “Un eccesso di coinvolgimento emotivo non porta bene”, dice alla Nazione il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti. “Adesso ci sono referendum che aumentano i diritti, ma non dobbiamo escludere che ce ne possano essere altri in futuro che li riducano o addirittura siano contro la Costituzione. Non è sfiducia nei confronti del consenso popolare ma anche i referendum vanno inquadrati nei limiti costituzionali”. Troppo entusiasmo, professor Ceccanti? “Partiamo dal presupposto che questa scelta è irreversibile. Nel momento in cui decidi di usare lo Spid per regolare il rapporto fra istituzioni e cittadinanza, è inevitabile che questo strumento possa essere usato anche per la raccolta firme per i referendum”. Ma se è irreversibile, come dice, su quali punti va cercato un equilibrio? “Anzitutto, sul numero delle firme da raccogliere. Adesso ne servono 500 mila, esattamente come quando nel 1948 gli elettori in Italia erano poco più di 29 milioni. La maggiore età era a 21 anni ed erano tutti molto più giovani. Fin dalla commissione Bozzi negli anni Ottanta ci si è posti il problema di aumentare il numero a 800 mila, una cifra che non frena le iniziative dal consenso popolare effettivo ma evita l’inflazione dei quesiti. Segnalo solo che nel 1995 Pannella voleva costruire il programma di governo tramite 44 quesiti referendari”. C’è poi la questione della facilità della raccolta firme. “Precisamente. Di solito la Corte si esprime alla fine del percorso e se trova quesiti non ammissibili, come spesso accade, butta via milioni di firme. Sarebbe più ragionevole introdurre un controllo sull’ammissibilità dopo le centomila firme. In questo modo si dimostra il radicamento popolare del quesito e la Corte può dare il suo ‘bollo’ di validità prima che siano raccolte tutte, senza bisogno di cestinare eventualmente milioni di firme. C’è poi un altro punto”. Quale? “Non possiamo escludere che ci siano una serie di quesiti che non rientrano nelle cosiddette materie ‘proibite’, sulle quali non ci può essere referendum, ma che producano comunque effetti incostituzionali che violano la costituzione. Adesso i referendum di cui stiamo parlando, come quelli sulla cannabis, aumentano i diritti, ma ci potrebbero essere quesiti che tolgono i diritti alle minoranze. La Corte, in caso di uso intensivo dei referendum, dovrebbe poter giudicare anche sulla compatibilità costituzionale, cosa che oggi non fa. Prendiamo il caso più discusso, il referendum sulla cosiddetta eutanasia. Secondo molti produce effetti incostituzionali perché riguarda non solo il malato ma anche le persone sane. Si tratterebbe dunque di una depenalizzazione dell’omicidio del consenziente che può anche essere sanissimo. C’è dunque un rischio di abusi che può essere incostituzionale. Oppure prendiamo il caso che qualcuno voglia fare un referendum che tolga qualche diritto ai migranti. Finora, essendo pochi i referendum raggiunti grazie a raccolte firme online, erano casi di scuola. Se però sono tanti quesiti diventa un problema”. Un altro problema è il quorum? “Sì, è facilissimo raccogliere le firme ma il quorum può comunque non essere raggiunto, causando frustrazione. Il quorum resta sempre la metà più uno di quando c’era il 90 per cento dell’elettorato che votava alle elezioni politiche. Oggi vota il 75 per cento, quindi c’è il 25 per cento di astensionisti strutturali. Sarebbe molto meglio avere un quorum parametrato sulle ultime elezioni politiche. Se alle precedenti elezioni politiche avesse votato il 76 per cento dell’elettorato, il quorum dunque potrebbe essere del 38 per cento”.