
Aveva visto la Montecatini degli anni migliori, quella sfavillante delle teste coronate e dei divi di Hollywood. Anzi ha contribuito a crearla, portando in città i nomi più eccelsi dell’arte e della cultura non solo italiane. Se l’Accademia Scalabrino riuscì ad accumulare così tante opere di pregio, lo si deve anche a lui, che convinceva gli artisti di grido a donare una loro creazione. Tutto questo e molto di più è stato Giorgio Ghelfi, scomparso a 93 anni, gallerista e mercante d’arte fra i più importanti e quotati d’Italia, editore di volumi di alto pregio. Riproponiamo qui l’intervista che rilasciò a La Nazione dieci anni fa, il 17 luglio 2011. Parole di sorprendente verità e ancora attualissime a tanto tempo di distanza.
Qual è il suo rapporto con Montecatini?
"Di amore, un lungo amore. Sono arrivato nel 1954, aprendo tre gallerie. Da me venivano re Faruk d’Egitto, re Faysal d’Arabia, William Holden, la Mangano, la Loren, Totò e potrei continuare a lungo. Ma anche di cocente delusione per quello che Montecatini poteva essere anche oggi e invece non è stata".
Si sente un po’ tradito...
"E mi piange il cuore. Ho deciso di mettere in affitto la galleria al Gambrinus. Ormai non esiste più un turismo attento alla grande arte. E pensare che al circolo letterario da me creato al Gambrinus si poteva conversare ogni sera con famosi scrittori, noti giornalisti, personaggi come Quasimodo, Alfonso Gatto, Salvalaggio, De Chirico, Guttuso. Che tempi!".
Perché questo tramonto?
"Certo il mondo è cambiato, ma Montecatini ha commesso troppi errori, ha perso troppi treni. La città è poco curata, trasandata. Recuperare diventa difficile, quasi impossibile. Sono colpe da dividere fra le amministrazioni che si sono succedute negli ultimi decenni. Capii che si stava sbagliando strada quando la città, negli anni Settanta, ospitò il concorso delle dattilografe, una clientela che strideva con il livello ancora alto del turismo locale. Poi si è puntato sul termalismo della mutua: altro grave errore. Alla fine siamo diventati il dormitorio di Firenze. Chi ha amministrato non ha capito l’evoluzione della società. Poteva e doveva andare ben diversamente".
Quanto ha contribuito l’arte di Ghelfi a fare grande la Montecatini del passato?
"Credo abbia dato un buon contributo. Cito le prime grandi mostre che mi vengono in mente: Rosai, De Chirico, Campigli, Soffici. Fecero epoca. L’Accademia si è arricchita di tante opere donate da artisti miei ospiti. Merito anche di Dino Scalabrino, un personaggio di prima grandezza".
L’arte può aiutare a rilanciarla?
"L’arte è sempre un potente veicolo. Ma Montecatini non mi pare interessata. Poche settimane fa avevo proposto di esporre all’aperto in viale Verdi chiuso al traffico una quindicina di grandi sculture di artisti famosi: Arnoldi, Minguzzi, Biancini, Emilio Greco. Le avrei dare gratuitamente fino ad ottobre. Servivano 10mila euro per il trasporto, l’assicurazione e la pulizia. La città non è stata in grado di trovare uno sponsor per pagare queste spese. Adesso quelle statue di Nag Arnoldi sono esposte in una importante mostra a Palazzo Reale di Milano".
Un consiglio per ridare slancio alla Montecatini depressa.
"Diventate città delle avanguardie artistiche. Fatevi centro espositivo e convegnistico permanente di artisti emergenti, che oggi pochi conoscono, ma che domani potranno essere nomi di fama. Sarebbe un messaggio di modernità nella qualità, un potente segnale verso i giovani. Le mostre degli Uffizi sono belle e importanti, ma non svecchiano un clima che ha bisogno di idee nuove e coraggiose".
Marco A. Innocenti