di Alessandra Poggi
Ci sono voluti vent’anni e tre gradi di giudizio, ma alla fine la donna ha ottenuto la giustizia che ha inseguito con tenacia. Nel 1998 aveva acquistato una casa a ponente dell’aeroporto del Cinquale e aveva incaricato del restauro una cooperativa locale. Nel 2000 il cantiere viene chiuso e la donna entra nella nuova abitazione ma scopre che alcuni lavori non sono stati eseguiti correttamente, come le scale interne ed esterne. Chiede quindi un risarcimento alla cooperativa, che risponde con un decreto ingiuntivo per il pagamento di ulteriori 20mila euro per lavori non ancora eseguiti. La donna paga in quattro rate, pur convinta di non dovere nulla alla cooperativa edile, anzi. Si rivolge quindi al tribunale di Massa per chiedere "in riforma dello stato passivo della predetta società l’accertamento della natura prededucibile del credito vantato e la restituzione da parte del commissario liquidatore della sola somma già ammessa, rinunciando alla restante parte del credito originariamente richiesto a titolo di risarcimento del danno".
La cooperativa si oppone alla condanna del tribunale ricorrendo in cassazione per tre motivi: i creditori avrebbero dovuto presentare ricorso per l’insinuazione tardiva, gli opponenti avevano dichiarato di aver ricevuto la comunicazione dell’esito della verifica dei crediti il 9 luglio 2013 ma avevano proposto l’opposizione il 2 agosto 2013, il tribunale aveva ammesso il credito al passivo in pre deduzione, senza graduarlo all’interno della classe. Inizia così il lungo braccio di ferro giudiziario concluso dalla sentenza della prima sezione civile della Cassazione presieduta da Carlo De Chiara che ha dichiarato inammissibile il ricorso della ditta e dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso". Ma la vittoria vent’anni dopo per la la donna si è trasformata in beffa: a settembre 2019 la ditta è fallita e il titolare è deceduto.