L’urlo della Sanac. "Vergogna!", si buttano le tessere elettorali

Rabbia e amarezza degli oltre cento operai della fabbrica che rischia la chiusura. "Acciaieri paghi i debiti"

La protesta

La protesta

Massa, 4 settembre 2022 - Nell’autunno della Sanac gli oltre cento lavoratori dello stabilimento di Massa si sentono come foglie sugli alberi: le forze per lottare vengono meno, come la speranza che la politica possa dare risposte mai trovate in 10 anni. La paura di cadere è tanta e qui non ci sono appigli. E’ la stagione più triste della battaglia dove anche la compattezza inizia a venire meno. Ieri mattina il presidio organizzato dalle Rsu davanti allo stabilimento, su mandato dell’assemblea dei lavoratori, non ha visto i sindacati di categoria e confederali, se pur invitati, al fianco degli operai. "Non condividevano la protesta", dice a denti stretti Andrea Bordigoni delle Rsu.

C’era la politica, quella locale soprattutto. C’erano rappresentanti delle istituzioni più ‘vicine’, Comune di Massa e Provincia. Non c’erano parlamentari: il 25 settembre è vicino ma Massa è lontana da Roma. Davanti ai cancelli della Sanac ci sono soprattutto operai, una trentina circa rispetto agli oltre 100 che fanno battere ancora il cuore dello stabilimento. Sono lì con il loro coraggio e le loro paure, le famiglie al fianco. Qualche genitore che ha contribuito a far nascere la fabbrica, pensava potesse essere un posto sicuro anche per i figli e due lustri dopo si trova di fronte a un destino imprevedibile. Ci sono i bambini, alcuni piccoli. Giocano e corrono nel piazzale deserto come se nulla dovesse o potesse cambiare da qui a pochi mesi. Si rincorrono facendo volare nell’aria supereroi e robot davanti alla fabbrica dove i genitori hanno lavorato per anni e che non può morire così, schiacciata da scelte politiche disastrose e da uno Stato che non sa far valere il suo peso nella compagine societaria Acciaierie d’Italia con la multinazionale Arcelor Mittal.

La politica prima ha sbagliato, poi ha promesso e infine ha fallito. E’ contro la politica, quella nazionale in vista delle elezioni, che protestano con rabbia e dolore gli operai Sanac: hanno in tasca le tessere elettorali. Prima le sventolano. Poi le lanciano a terra. "E’ l’ultima cosa che possiamo fare. Siamo stati presi in giro per 10 anni", dice un operaio. Il simbolo di una disillusione totale perché tutta la politica ha fallito: centrosinistra, centrodestra, i 5 Stelle. Nessuno ha potuto o voluto trovare a Sanac un destino diverso che, dopo due aste andate deserte, si avvia verso una terza ancora da intavolare. Nel frattempo due stabilimenti su quattro, in Sardegna e in Liguria, si sono fermati.

Massa può reggere qualche settimana, forse qualche mese. Ma la Cassa integrazione sembra ineluttabile. "Siamo a protestare per una nuova disfatta – dice Bordigoni –, su Massa per ora riusciamo a tenere la barca più o meno pari ma quando accenderemo i forni che vanno a gas con i costi dell’energia aumentati chissà. L’autunno ci preoccupa: noi andremo in Cassa integrazione, forse a gennaio, ma le ditte dell’indotto non ce l’hanno. Venti famiglie che resteranno senza stipendio. Chiediamo di far ripristinare gli ordini da Taranto e che Acciaierie paghi il debito da 30 milioni con Sanac: non è possibile che il Governo prometta 1 miliardo e 200 milioni di euro ad Acciaierie e permetta che non paghi i fornitori, aziende italiane. Sulla gara, non sappiamo chi potrà partecipare con due stabilimenti chiusi e senza ordini da Taranto".

E ancora la politica finisce nel mirino, in particolare il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti: "Ci ha lasciati sbigottiti – incalza Emanuele Monfroni – Abbiamo chiesto un incontro per mesi, con le sigle sindacali. Poi viene all’associazione industriali a Carrara a dire che Acciaierie non acquista Sanac perché ha problemi economici. Va bene, ma almeno paghi i debiti visto che lo Stato gli dà oltre 1 miliardo. E’ vergognoso".