
"Noi Massa la governiamo, non la comandiamo, la governiamo". Dicevano così le persone arrestate nel novembre 2018 nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Genova e dei carabinieri di Massa su un giro di estorsioni aggravate dal metodo mafioso. In manette erano finiti Sergio Romano (56 anni, di Napoli), Giovanni Formicola (70, Portici), Carmine Romano (54, di Napoli), Massimo Di Stefano (60, di Catanzaro) e Fabrizio Micheli (49, Sassari). Ai domiciliari invece erano finiti Nicola Mari (38 di Massa) e Alessandro Puccetti (56, di Massa), dipendente della Provincia di Massa. Altre persone erano state deunciate a piede libero tra cui un direttore di banca prima complice e poi vittima del clan a cui ha dovuto versare quasi 100mila euro sotto ricatto.
Gli imputati sono comparsi ieri davanti al tribunale di Massa per difendersi dalle gravi accuse formulate dal magistrato della Dda di Genova Federico Manotti, ex pm a Massa. Per non destare sospetti i 5 finiti in carcere nel 2018 avevano messo in piedi una società fittizia, la My Way di intermediazione al credito. "Una delle prime operazioni - sottolineò il procuratore di Genova Francesco Cozzi - che dimostra come a Massa vi siano infiltrazioni di soggetti provenienti da altre zone ad alta intensità mafiosa che inquinano il tessuto economico locale".
Erano emersi collegamenti con la cosca di Lamezia Terme di Cerra-Giampà-Torcasio. Le accuse vanno dall’estorsione aggravata dal metodo mafioso alla truffa, fino alla spendita di monete false. Le indagini erano partite nel 2017 dopo la denuncia di un imprenditore che aveva subito minacce e ricatti dopo che aveva acquistato all’asta l’immobile di una amica del gruppo. Dalle indagini era emerso anche che il gruppo aveva messo in piedi una serie di truffe coinvolgendo il direttore di banca di Massa.
Il funzionario faceva avere piccoli prestiti alle persone presentate dal gruppo che usavano falsi documenti di identità per poi non restituire nulla alla banca. Da complice il direttore si era trasformato però in vittima: gli arrestati gli avevano fatto credere che quelle persone lo avrebbero denunciato per truffa e che per metterli a tacere doveva pagarli. Il direttore ha così versato in un anno quasi 100 mila euro. Un altro episodio riguarda un imprenditore costretto a versare quasi 7.000 euro per un prestito ottenuto. Per convincerlo a dare i soldi il gruppo attuava il cosiddetto "cavallo di ritorno": si impossessano dello scooter fino alla consegna del denaro. Tutti gli episodi sono avvenuti a Massa.
Guido Baccicalupi