CLAUDIO LAUDANNA
Cronaca

Moschea fantasma, la verità di Paolo Dazzi

Lo sfogo: "Umiliazioni profonde durante la perquisizione: lei fa uso di droga? E vada in bagno con la porta aperta. Ora il pm indagato"

di Claudio Laudanna

"Può andare in bagno, ma con la porta aperta". Paolo Dazzi è un imprenditore carrarese che è stato coinvolto nella lunga vicenda giudiziaria per la costruzione della cosiddetta ’Moschea fantasma’ nell’Iraq di Saddam Hussein. Assieme ad altri avvocati e professionisti apuani Dazzi si trovò al centro di una tempesta mediatica mentre in tribunale doveva rispondere delle accuse di falso, bancarotta e abuso d’ufficio avanzate dalla procura di Torino. Una vera odissea dalla quale l’imprenditore apuano assieme a tutti gli altri indagati ne è uscito immacolato: assolti "perché il fatto non sussiste" dalla Cassazione, ma i lunghi anni dei processi hanno lasciato un segno indelebile nella vita di Dazzi. Per questo oggi, alla notizia che uno dei pubblici ministeri torinesi che aveva seguito la vicenda, Andrea Paladino, sia finito a sua volta al centro di un’indagine della procura di Milano l’imprenditore nostrano vuole ripercorrere la propria vicenda giudiziaria raccontando tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare. "Auguro a Paladino, che ora è giudice istruttore al tribunale di Vercelli - dice Dazzi - di non dover attendere tre gradi di giudizio, ma di essere assolto, perché il fatto non sussiste, sin dalla sentenza di primo grado e non come è capitato a noi di dover attendere tre anni di indagini, altri 10 da quando è iniziato il dibattimento per mettere la parola fine alla nostra storia. Spero per lui che, anche nel corso delle indagini, oggi finalmente concluse, non abbia mai trovato sulla sua strada dei pubblici ministeri arroganti e saccenti". Dazzi riporta poi alla memoria alcuni episodi che durante la sua vicenda giudiziaria hanno particolarmente segnato tanto lui quanto i suoi familiari. "Ricordo che in sede di perquisizione mi arrivarono a casa alle 6.45 della mattina con tanto di elicottero che faceva tremare i vetri, sembrava fosse scoppiata una guerra - racconta l’imprenditore -. Queste sono cose che poi non si dimenticano. Possono provocare incubi. E per lungo, lungo tempo. Anche per chi ti sta accanto. Sempre durante la perquisizione mi sono sentito dire ‘può andare in bagno ma con la porta aperta’, oppure, davanti ai miei ragazzi terrorizzati, ‘Ma lei fa uso di stupefacenti’ pur sapendo perfettamente e scientemente di mentire. Un processo dovrebbe essere affrontato con serenità, perché deve essere così, in un processo tutti i diritti devono essere garantiti, l’imputato deve poter parlare a sua difesa senza essere interrotto o intimidito e si deve poter fidare non solo del suo avvocato difensore, ma anche del rappresentante della pubblica accusa, deputato, nel nostro ordinamento a ricercare prove a carico ma anche a discarico dell’imputato ed a far emergere, nell’interesse pubblico che egli con onore rappresenta, solo e soltanto la verità".