"Io, scampato alla strage di Sant’Anna E poi ’mutilatino’ salvato da don Gnocchi"

Elio Bernabò racconta la sua incredibile storia, da Stazzema ai bombardamenti su Carrara. "Un ginecologo mi amputò la gamba"

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Si avvicina il 78° anniversario della terribile strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema. Ne parliamo con Elio Bernabò, grande invalido di guerra, dal 1980 presidente provinciale di Massa-Carrara dell’Associazione nazionale Vittime civili di guerra onlus.

Bermabò, perché si sente uno scampato all’eccidio di Sant’Anna?

"La mia famiglia è originaria di Sant’Anna di Stazzema. Passai parte della guerra a Sant’Anna, ospite di familiari, in quanto il paesino di montagna in mezzo ai boschi veniva considerato più sicuro rispetto alla città. Nell’estate del ’44 la mia famiglia decise di tornare a Carrara. Mi considero uno scampato all’eccidio del 12 agosto del 1944 in cui furono uccisi 560 civili. 17 di loro erano miei parenti".

Come è diventato invalido di guerra?

"Il 10 aprile 1945, a Carrara, durante un cannoneggiamento effettuato dal porto verso i monti, venivo colpito da una scheggia a un ginocchio. Altre cinque persone che erano con me, tra cui tre ragazzi, rimasero uccise. Fui portato in ospedale assieme a mia madre, anche lei ferita. Nella notte anche l’ospedale fu bombardato, quindi mi portarono alla scuola elementare ’Aurelio Saffi’. Non avendo medicinali adeguati per curarmi, dopo pochi giorni la gamba andò in cancrena e durante una notte, visto che la situazione stava peggiorando, un medico ginecologo mi praticò l’amputazione della gamba stessa, utilizzando come tavolo operatorio la cattedra della scuola".

Come è stato il seguito per un bambino mutilato?

"Fui ospitato in una delle strutture dell’Opera Pro Juventute istituita da don Carlo Gnocchi (ora Beato), valoroso cappellano militare che appena tornato in Patria dopo la Campagna di Russia raccolse i ’mutilatini’, innocenti vittime della guerra. Nel 1949, avevo poco più di 11 anni, quando conobbi personalmente don Carlo. Stavo nel collegio di Parma e lui venne in visita. Ci aveva radunati nel grande refettorio e pose ai più grandicelli delle domande. Ci conquistò perchè ci amava di un affetto sincero e sapeva infonderci fiducia, coraggio ed energia. Voleva fare di noi degli uomini capaci di affrontare con forza la realtà ed essere in grado di superare con fede e serenità le innumerevoli prove tanto difficili da accettare".

Ha un ricordo particolare?

"Nel 1950, mentre eravamo a Roma per le celebrazioni dell’Anno Santo, il ministro degli interni Mario Scelba volle conoscere don Carlo Gnocchi e i suoi ’mutilatini’. Don Carlo scelse me come rappresentante del Collegio Pro Juventute di Parma. Ero impaurito, ma lui mi tranquillizzò. Sono tanti i ricordi che ho di don Gnocchi e nonostante le mie dolorose vicissitudini mi ritengo un uomo fortunato. Se non ci fosse stato don Carlo non avrei avuto istruzione, amicizia, fraternità e forse non avrei potuto conseguire nella vita quello che ho ottenuto: un lavoro dignitoso, che mi ha permesso di costruirmi una famiglia meravigliosa".

Angela Maria Fruzzetti