Bimba eritrea salvata all’Ospedale del Cuore Cooperazione sanitaria che supera le barriere

La piccola era affetta dalla atresia della tricuspide: dopo un’odissea in patria i genitori l’hanno portata alla Fondazione Monasterio

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Raie è una bambina nata con una grave cardiopatia congenita ed è stata curata dai medici e dagli infermieri della Fondazione Monasterio prima in Eritrea e poi all’Ospedale del Cuore di Massa. L’ennesimo ’miracolo’ dell’Opa. La piccola era affetta dalla atresia della tricuspide: significa che la valvola tricuspide non si è mai sviluppata e al suo posto c’è del tessuto fibroso che la chiude, impedendo il passaggio del sangue povero di ossigeno dall’atrio al ventricolo destro. Di conseguenza, il ventricolo destro rimane più piccolo. Era il 2017 e in Eritrea l’équipe della Monasterio interveniva nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale che vede coinvolti diversi centri, che si alternano ad Asmara per dare continuità alle attività dell’ospedale eritreo. La Fondazione Monasterio, che vanta una lunga tradizione nella cooperazione sanitaria internazionale, esplica una parte della propria attività nell’effettuare – da un lato – periodiche missioni sanitarie nella struttura estera individuata, con screening, interventi di cardiologia interventistica e chirurgica, e – dall’altro – l’accoglienza dei pazienti pediatrici, all’Opa, per il ricovero e gli interventi di cardiochirurgia localmente non realizzabili. Raie aveva subìto un intervento (di Glenn) dal team precedente a quello della Monasterio. Ma pochi giorni dopo a casa la bambina sta male e la madre si precipita in ospedale. Il personale sanitario interviene d’urgenza e ricovera la bambina, per tutto il tempo di permanenza della squadra in Eritrea: i professionisti, a turno, controllavano la bambina, senza mai perderla di vista. Fino alla dimissione, al momento della partenza. A fine ottobre 2021 Raie, che ha 5 anni, ha nuovamente bisogno di un’operazione al suo cuore univentricolare: l’intervento di Fontan, il secondo passo necessario per la sua grave cardiopatia. Un intervento ad alto rischio e con una gestione post operatoria molto complessa, e che – certamente – non avrebbe potuto sostenere nel suo Paese. Ottenuti i visti e preparati i documenti, mamma e figlia partono in direzione dell’Ospedale del Cuore di Massa: per il tempo dei necessari esami pre operatori, vengono ospitate in una delle case di accoglienza, nei dintorni dell’ospedale stesso e gestite dall’associazione “Un cuore, un mondo”. E poi l’operazione che avviene senza complicanze, la rapida ripresa post operatoria, e un cuore nuovo, con l’augurio che possa stare a lungo con questa situazione, non definitiva. Nel corso degli anni – si spera decenni – potrebbe, infatti, avere dei sintomi di qualcosa che non funziona più, in questo circuito artificiale che le è stato creato.

"Fra noi e lei – racconta la dottoressa Nadia Assanta, cardiologo pediatra della Monasterio – si è creato, fin da subito, un legame di stima e di affetto reciproco che è andato avanti nel corso del tempo, facendo sì che si concludesse nel migliore dei modi, con l’intervento conclusivo di Raie. Siamo rimaste in contatto, e vedo crescere quella bellissima bambina nata con il cuore a metà". "La storia di Raie ci emoziona perché racconta un lato molto importante di noi, e mette in luce l’alto valore umano e professionale del nostro personale – conclude Marco Torre, direttore generale della Fondazione Monasterio. I nostri operatori sanitari, da oltre vent’anni, partono per progetti di cooperazione sanitaria, mettendo in valigia le loro competenze e il loro cuore, operano in condizioni difficili, spesso a ritmi serrati, e tornano a casa stanchi ma ancora più motivati. Il legame con i nostri pazienti è così forte che supera le distanze, e la nostra struttura ha raggiunto un livello di organizzazione elevato, grazie anche all’indispensabile supporto degli enti del terzo settore e, in particolare, dell’Associazione “Un cuore, un mondo”, tale da essere ormai capace di garantire la continuità di cura anche per questi piccoli pazienti che nascono in Paesi svantaggiati".