REDAZIONE LUCCA

Puccini, Caruso e la “malafemmina” Quando il Maestro sognava Conchita

I due avevano condiviso a Londra il progetto, poi abortito, di un’opera tratta da ”La donna e il burattino” di Pierre Louÿs

Maurizio Sessa, giornalista e scrittore autore, fra gli altri, di volumi dedicato a Puccini e a Caruso (“Caruso&Friends. La nascita del re dei tenori” da poco in libreria), come appendice alla querella sul primo incontro fra il grande tenore e il Maestro, invia questo contributo che volentieri pubblichiamo.

Puccini, Caruso e la “malafemmina”. Come di recente ha sottolineato l’omonimo discendente del tenore napoletano in merito all’incontro a Torre del Lago tra i due birichini Divi del melodramma, Puccini e Caruso sia nell’attività artistica sia nella sfera privata esplorarono come pochi altri il mistero racchiuso nell’animo femminile. A entrambi sono state attribuite, a torto o a ragione, molte amanti. E in un’occasione la comune passione per la bellezza muliebre “rischiò” di tramutarsi in materia di una sconcertante, scandalosa opera lirica. Un’opera dalle tinte decisamente erotiche. Come a dire, composizione del Maestro Giacomo Puccini, interpretazione del Re dei Tenori.

Stiamo parlando di “Conchita”, uno dei numerosi progetti operistici che Puccini non portò a termine sebbene per alcuni anni fosse stato letteralmente ossessionato dall’eroina che doveva essere l’erede della celeberrima Carmen di Georges Bizet, protagonista dell’opera-capolavoro che lo aveva incantato durante gli anni di studio al Conservatorio di Milano. Un’ossessione, Conchita, che l’affermato Sor Giacomo avrebbe voluto condividere con “The Great Caruso” ormai sovrano assoluto del Metropolitan Opera House di New York.

Ma veniamo ai fatti. E soprattutto ai documenti. Correva l’estate del 1906 quando Puccini e Caruso si ritrovarono a Londra: il primo per un breve periodo di riposo, il secondo per motivi di lavoro. Enrico dal mese di maggio si stava esibendo al Covent Garden, sua seconda prestigiosa casa da globetrotter del melodramma. Aveva portato in scena alcuni pezzi da novanta del suo straordinario repertorio: “Rigoletto”, “Pagliacci”, “Aida”, “La Traviata”, “Don Giovanni”. Ma aveva pure calato un meraviglioso tris pucciniano: “La Bohème”, “Madama Butterfly”, “Tosca”. L’ennesima, clamorosa teoria di successi inanellati dal divino Caruso.

Il 20 luglio 1906, Puccini aveva appena lasciato l’Hotel Westminster di Parigi. Disfatte le valigie all’Hotel Coburg di Grosvenor Square a Londra, prese carta e penna per inviare una lettera al nobiluomo fiorentino Giuseppe della Gherardesca, da lui affettuosamente ribattezzato Beppino, suo compagno di battute di caccia al ‘cignale‘ nelle macchie maremmane, in particolare in quel di Capalbio e di Bolgheri. All’amico conte Puccini riferiva del suo soggiorno in riva alla Senna. Gl raccontava di aver combinato per la Butterfly (che andrà in scena al Théâtre National de l’Opéra- Comique il 28 dicembre di quell’anno). Sempre nella Ville Lumiere aveva stretto un importante accordo per un progetto che rincorreva da qualche tempo. "A Paris – scrive a Beppino – ho combinato la Femme et le Pantin. Penso a Caruso per don Mateo. Gliene ho parlato jersera... ".

E’ l’ufficializzione di “Conchita”, l’opera mai composta che Puccini cercava in quel periodo di ricavare da “La Femme et le Pantin” (La donna e il burattino) di Pierre Lou, pubblicato per la prima volta nel 1898. Un libro ambientato in Spagna, incentrato sulla figura di Conchita, una donna che fa perdere la testa ad un uomo più vecchio di venti anni, don Mateo. Una donna che sembra comportarsi come una prostituta malgrado sia ancora vergine. Una trama forte, molto forte, intinta di perversione, tanto che l’editore di Puccini, Giulio Ricordi, giudicava il soggetto estremamente pericoloso. Conchita tratta la sua preda come un burattino, è un mix esplosivo di Carmen e Salomè, insomma. Ma alla fine, con buona pace di tutti, non se ne fece di nulla. Il compositore si rese conto che drammaturgicamente sarebbe stato impossibile realizzare un’opera di questo tenore...

Caruso evitò di doversi rantolare per terra con la “malafemmina” nell’attimo culminante dell’opera che aveva fatto perdere il senno e il sonno al compositore lucchese. Puccini si risparmiò uno scandalo. Sedotto e abbandonato dal fantasma lussurioso di Conchita, Giacomo riprese la via per Torre del Lago. E qui si sfogò sparando come un forsennato alle malcapitate folaghe del lago di Massaciuccoli. Gli artisti, del resto, restano sempre un po’ adolescenti.