
Philippe Daverio
Lucca, 3 giugno 2018 - «Buongiorno, sono Philippe Daverio. Aveva chiamato?». Buongiorno. Parlo da La Nazione di Lucca. «‘La Nazione di Lucca’. In tempi in cui tutti reclamano qualcosa verso l’Europa, vi presentate come La ‘Nazione di Lucca’. Rivendicate direttamente l’autonomia. Bravi». Cultura profondissima, padronanza della storia, squisita ironia. Philippe Daverio offre un distillato di se stesso nell’incipit della telefonata. Dopo un inizio così, il colloquio va giù che è un piacere.
Parliamo della Lucca di oggi. Qui si discute su come resistere al turismo di massa. «E dov’è il turismo di massa? Non avete posto per truppe cammellate. La città è piccola. E poi, perdoni l’impertinenza, chi la conosce?». Beh. È famosa. «Lo è stata. Fino al Cinquecento. Poi, la Toscana ha diffuso in modo positivo la centralità fiorentina e la paranobiltà chiantigiana. Se chiedo dove sono riunite le più belle ville di campagna del mondo, cosa si risponde?». In Veneto. «In Veneto e a Lucca. Ma tutti conoscono le prime. Lucca ha lasciato senza batter ciglio che Villa di Marlia, una delle più affascinanti in assoluto, finisse a un privato. Stato, Regione, enti pubblici non hanno mosso un dito». Già. «E sa cos’altro fanno in Veneto, dove con tutto il rispetto, sembrano un po’ ‘rallentati’? Un progetto sulle città murate, mettendole in rete. E le Mura, se permette, nessuno le ha come Lucca. Le Mura testimoniano l’antica forza e insieme i limiti non soltanto fisici della città». In che senso? «Lucca si è mostrata nel tempo così marginale, che nessuno ha mai pensato di abbatterle. Nemmeno dopo l’Unità d’Italia, quando ovunque vennero eliminate le cinte murarie per debellare eventuali spinte a richiudersi e per assecondare gli immobiliaristi che invocavano espansione». Davvero pochi conoscono Lucca nel mondo? «Numericamente, sì. Qualitativamente è conosciuta e sa qual è l’indicatore? Che in Francia esiste la parola Lucques, ne hanno tradotto il nome per ammirazione verso Elisa. Lo fanno di rado. Per rispetto di un mito, ed ecco Pise, o per avversione, come Bologne». Avversione? «Non hanno mai digerito che Bologna abbia un’Università più antica della Sorbona». Cosa manca, a Lucca? «La capacità di raccontarsi in modi diversi, al di là di Ilaria. E materiale ne ha». Lo storytelling. Lei da dove partirebbe? «Dagli Arnolfini. Il dipinto di Van Eyck, oggi alla National Gallery di Londra, raffigurante il mercante lucchese Giovanni Arnolfini, che ebbe successo anche come banchiere a Bruges, nel Quattrocento (per quanto riguarda il dipinto, che resta comunque un simbolo della Lucchesità, secondo lo studioso Marco Paoli, in realtà i personaggi raffigurati sarebbero l’autore del quadro, Van Eyck, con la moglie Margaretha, ndr)». Raccontare Lucca con un dipinto che si trova a Londra? Con tutte le bellezze che ci sono qui. «Magnifici spunti li avete in casa. All’archivio di Stato di Lucca mi è capitata una pergamena col sigillo di Carlo Magno. C’è più Europa in quel documento che in mille atti contemporanei. Elogio il vostro Archivio di Stato: meraviglioso per materiale raccolto e per come lo ha ordinato, per la digitalizzazione. E sempre restando a casa vostra c’è un filone tutto da raccontare». Dica... «L’anfiteatro, la piazza più bella della città ha l’ovale costruito sui massi dell’antico circo romano. E le chiese cristiane utilizzano le colonne spogliate ai templi pagani. Poi, tornerei alla mia cara pittura». Prego... «Racconterei indirettamente Lucca attraverso i dipinti di Vermeer, coi pavimenti intarsiati di marmi neri del nord Europa e bianchi di Carrara. Furono i lucchesi a diffondere il marmo bianco in Belgio, riempiendo le navi che scaricavano a Pisa i tessuti grezzi che loro compravano nelle Fiandre. La navigazione di ritorno è uno dei motori del mondo». C’è altro? «La rivalità fra città vicine. Un tempo, Lucca celebrava la vittoria su Pisa. Andrebbe rifatto, invitando i pisani. C’è più storia nei 100 km di costa fra Livorno e Carrara che in tutta la California, ma non lo raccontiamo mai». Non può essere certo trascurato il tema della musica e di Giacomo Puccini nel corso dell’intervista a Philippe Daverio. E Puccini? «Vi ha fregati la sua vita sul lago. Era un extra armonico, come tutti i musicisti, ha avuto un rapporto difficile con la sua città». Cosa le piace, di Lucca? «L’atmosfera, la piacevolezza del viverci, la tavola, la storia riassunta nelle pietre». La candidatura di Lucca all’Unesco è stata bocciata due volte. «In questi giorni, Padova prepara la propria, basandosi sul ciclo di affreschi. Evidentemente a Lucca non è stato trovato l’argomento centrale». La narrazione, appunto. «La pratica va istruita bene. In questo periodo di baruffe europee, punterei sulla vocazione internazionale, sugli scambi commerciali e le tracce lasciate nell’arte, nella storia. Sul rapporto con la Francia. Sulla città che ha le Mura, ma è aperta al mondo. E sulla cucina». Come? «Con un festival dei grassi. Un confronto in piazza fra condimenti. L’olio, il burro, lo strutto, tutti vostri prodotti: Colonnata del resto è a un passo. Qual è più buono? Ricordo, commosso, un piatto di fagioli caldi con sciolta sopra una fetta di lardo, in un ristorante lucchese». A quando un’altra trasmissione tv su Lucca? «La Rai non mi fa più lavorare. Non ho chi mi protegga, là dentro». Darebbe consulenze ai lucchesi? «Non è il mio mestiere. Ma un briefing, così ‘a sbafo’, per puro divertimento, lo farei».