Festen il gioco della verità tiene banco per tre giorni

Festen. Il gioco della verità – in scena al Teatro del Giglio dal 3 al 5 febbraio – è il primo adattamento italiano tratto dalla sceneggiatura dell’omonimo film danese del 1998 diretto da Thomas Vinterberg, scritto da Mogens Rukov e BO Hr. Hansen e prima opera aderente al manifesto Dogma 95. A firmarne la regia è Marco Lorenzi, regista fondatore della compagnia torinese Il Mulino di Amleto, vincitrice Premio della Critica A.N.C.T. 2021.

Lo spettacolo, al terzo anno di tournée, è sostenuto dall’impegno produttivo di TPE - Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti, in collaborazione con Il Mulino di Amleto. Considerato ormai un classico del teatro europeo, Festen vede in scena Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Carolina Leporatti, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca. La pièce racconta di una grande famiglia dell’alta borghesia danese, “i Klingenfeld”, riunita per festeggiare il sessantesimo compleanno del patriarca Helge. Alla festa sono presenti anche i tre figli: Christian, Michael e Helene.

Il momento di svolta sarà il discorso di auguri del figlio maggiore Christian che, una volta pronunciato, cambierà per sempre gli equilibri della famiglia, svelando ipocrisie e strappando via maschere. La festa si trasforma in un gioco al massacro volto a mettere in discussione, in un crescendo di tensione, il precario equilibrio familiare fondato su rapporti ipocriti, segreti indicibili e relazioni di potere malsane.

L’opera scava all’interno dei tabù più scomodi. Impossibile non pensare ad Amleto, alla tragedia greca, ma anche all’universo favolistico dei Fratelli Grimm. "Festen – scrive Marco Lorenzi nelle sue note di regia allo spettacolo - ci ha fornito un incredibile materiale di ricerca e di sperimentazione del linguaggio. Ci siamo spinti verso un radicale uso drammaturgico della cinepresa per sfruttare la possibilità di costruire costantemente un doppio piano di realtà che consegnasse allo sguardo degli spettatori la condizione di scegliere tra quello che viene costruito sul palcoscenico e la “manipolazione” che l’occhio della cinepresa rielabora in diretta e che viene proiettato. Con un gigantesco piano-sequenza che lungo tutto lo spettacolo verrà girato dagli stessi attori e proiettato davanti allo sguardo della platea, cerchiamo di amplificare, ironizzare, dissacrare“.