CHIARA TENCA
Cronaca

Tra capre e cormorani. Qua l’uomo arriva a bordo dell’Albatros. Ma la sera se ne va

Nonostante il cantiere al Carlo Alberto, ora sotto i sigilli della Procura, l’aria che si respira in Palmaria è quella della natura incontaminata. Bellezza e incuria si mescolano in un abbraccio diventato un marchio.

Tra capre e cormorani. Qua l’uomo arriva a bordo dell’Albatros. Ma la sera se ne va

Tra capre e cormorani. Qua l’uomo arriva a bordo dell’Albatros. Ma la sera se ne va

Non importa se sei spezzino o foresto: l’isola a forma di cuore ti fa battere il petto, ti taglia il respiro con un coacervo di sensazioni ed emozioni. Ti guardi in giro e ti meravigli per uno dei pochi angoli ancora quasi intonsi di una regione stravolta dalle betoniere. Respiri profumi, calchi sentieri di terra battuta e ciottoli, sali e scendi, fra dislivelli e scorci di pura meraviglia. E ti mescoli alla fauna locale: lucertole che sfrecciano in ogni direzione ora e si mimetizzano poi, caprette che seppur non autoctone sono diventate uno dei suoi simboli, libere a scorrazzare fra rocce e vegetazione, cormorani che si asciugano le ali sugli scogli e i re di questo lembo di Liguria, i gabbiani. Che si appollaiano ovunque e inondano l’aria e il cielo con i loro canti e i loro richiami. Non sia mai che ci venisse il dubbio di poterli spodestare.

L’umanità è una variabile sulla Palmaria, anche se arriva, ne prende bellezza, freschezza. Ma poi se ne va, salvo poche eccezioni. Certo, impatta eccome, ma ancora il senso di questo posto è quello in cui la natura comanda. Nonostante gli edifici abbandonati che crollano, le poche ville, ristoranti e b&b, gli ombrelloni ancora timidi, nonostante quel cantiere al Carlo Alberto ora sotto sigilli, sulla cui palizzata qualcuno ha pensato di dedicare una parola ai fautori del progetto. Un termine secco e chiaro, poco pubblicabile e non propriamente di apprezzamento. Resta quel lunghissimo recinto mimetizzato grazie alla stampa di foglie, con un punto interrogativo su ciò che sarà.

"Non devono privatizzarla, è di tutti", spiega una delle poche persone che incrociamo, una donna in giro con i suoi due cani. Le ruspe tacciono da settimane e se si girano le spalle all’area lavori, ci si dimentica quasi della questione: il vento della Palmaria non si cheta mai, il ritmo è lento, scandito dallo sciabordio delle onde, la popolazione scarsa. C’è qualche gruppo di adolescenti, c’è un canoista che si rilassa sdraiato vicino alla sua pagaia di fronte a una distesa di posidonia protetta, ci sono i giovanissimi bagnini della spiaggia libera attrezzata – che da quest’anno schiera due file di ombrelloni e lettini fissi – il Gabbiano, che raccontano come la stagione debba ancora iniziare. Cosa che ci confermano all’ingresso dello stabilimento civili della Marina, ancora spopolato come quello dei sottufficiali, dove a regalare un assaggio di estate sono la filodiffusione e qualche bagnante. La partenza è lenta, a scuole finite cambierà qualcosa. Ce lo dicono alla reception e ce lo confermano a bordo dell’inossidabile Albatros. Bellezza e abbandono si mescolano come yin e yang. Ti rapisce la macchia di giallo delle ginestre e ti casca l’occhio su un pezzo di polistirolo spiaggiato, chiudi gli occhi a immaginare il canto delle sirene e ti ritrovi a guardare barche a remi alla rinfusa. Nel silenzio rotto dal rumore dei sassi e dai belati dei branchi di caprette, la vitalità arriva dai ragazzi in gita: sono di Parma, facciamo in tempo a vederli mentre salgono a bordo della navetta che li sbarcherà a Porto Venere. Palmaria, la stagione inizia. E c’è chi già ti ha scelto, spezzino e non, come Ronnie, Amy, Kate, Nick, da Los Angeles al cuore del Golfo a fine maggio, che hanno lasciato il loro omaggio su un legnetto. "Grazie splendida isola per le estati felici" si legge su un altro. Chissà quante altre ne verranno.