Quando "Una vita non basta". Galiano spiega il ’guardarsi dentro’

Enrico Galiano, insegnante e scrittore, presenterà il suo romanzo "Una vita non basta" alla Fondazione Carispezia. Il libro affronta temi legati alla scuola e alla gioventù, invitando a riflettere sul proprio destino e sull'autorevolezza dell'insegnante.

Quando "Una vita non basta". Galiano spiega il ’guardarsi dentro’

Quando "Una vita non basta". Galiano spiega il ’guardarsi dentro’

Insegnante, scrittore, star del web e dei social. Enrico Galiano dal Friuli ha conquistato il paese con il suo approccio originale e avvolgente al mondo della scuola e della gioventù, tanto che molti lo paragonano all’immortale professor Keating de "L’attimo fuggente". Sarà lui, questo pomeriggio alle 18, il nuovo ospite della rassegna "I Libri, la Città, il Mondo. Conversazioni d’Autore in Fondazione Carispezia" curata da Benedetta Marietti, in programma nella sede dell’ente in via Chiodo 36. Galiano presenterà il suo ultimo romanzo, pubblicato da Garzanti, "Una vita non basta", già alla in ristampa a pochi giorni dall’uscita.

Perché questo libro?

"Nasce da un bisogno personale dell’autore, catturato da parole di un adolescente in crisi di motivazione, Ismaele, che chiede a uno sconosciuto spiegargli perché debba andare a scuola, pur sentendosi appiattito ogni giorno di più. Ho raccolto in un libro unico una serie di vademecum per capire chi sei e trovare il tuo destino. Io stesso, fino a 30 anni non ho insegnato: è stata la mia salvezza, ho capito cosa non volevo. Il messaggio del libro è: sbaglia, se vuoi capire chi sei, procedi per negativo".

Teo, il protagonista, ha difficoltà a comunicare.

"Lui, come altri ragazzi, usa un linguaggio a noi incomprensibile, ma siamo i primi a non volerlo ascoltare: come fai a dire che non parla uno che scrive due fogli protocolli contro la scuola come succede a Teo? Eppure, non lo considerano. È difficile accettarlo, ma insegnando alle medie lo vedo quotidianamente: i ragazzi vanno in direzioni diverse".

Centrale è la figura del professor Bove. Quanto c’è di lei in questo personaggio?

"Scrivere un romanzo è come mettere il parmigiano della pasta: tu sei il parmigiano e i personaggi sono la pasta. Io sono stato spesso Teo durante l’adolescenza: non dicevo le cose, ma le scrivevo perché non riuscivo con la mia voce e certo di essere anche in Bove, perché per me è il prof perfetto. I ragazzi hanno un sacco di bisogni e domande e nove volte su dieci non si sa come rispondere. Con questo libro cerco di trovare le parole che non ho trovato di persona, le scrivo per consolarmi delle volte in cui sono stato in silenzio".

Lei è molto abile a usare i nuovi canali di comunicazione: servirebbero anche in classe?

"La variabilità aiuta tantissimo. Gli studenti sono cresciuti in un’altra epoca, non puoi più pensare a un’ora di parte frontale, ma al massimo 15 minuti. Il resto andrà fatto in modo diverso e l’inserimento della tecnologia è essenziale, anche perché oggi sta emergendo finalmente tutto quel mondo di diversità di apprendimento considerato disturbo, ma fra qualche anno interesserà il 51% dei ragazzi e allora non sarà più considerato tale".

Ma come vede il rapporto fra scuola e giovani?

"Mi piacerebbe che questo urlo di insofferenza manifestato da molti di loro portasse verso una scuola più strutturata. Invece che dare voti in condotta, dovremmo capire che i ragazzi sono i primi a voler ristabilire l’autorevolezza dell’insegnante, ma servono autorevolezza e risposte, non darne di vecchie a problemi nuovi".

Chiara Tenca