FABIO BERNARDINI
Cronaca

Provedel: "Da bambino giocavo attaccante Poi ho fatto il portiere per il mito di Yashin"

Di sicuro non si è dimenticato come si fa a giocare di punta, visto che alla Juve Stabia l’anno scorso in serie B ha segnato un gol all’Ascoli

di Fabio Bernardini

L’amore per la Russia, la gioia imminente della paternità, la tenacia di voler giocare in porta ad alti livelli. Ivan Provedel, ragazzone di Pordenone di 27 anni, sta vivendo un momento magico non solo dal punto di vista umano ma anche professionale: "In estate ero disperato, ero ai margini con l’Empoli, non riuscivo a trovare una sistemazione, poi la chiamata last minute da parte dello Spezia, una grandissima opportunità che ho colto al volo".

Provedel, cos’è la Serie A per lei?

"Una grandissima occasione per dimostrare che ci possiamo stare. Se dovessimo conquistare la salvezza mi piacerebbe festeggiare l’evento con la gente spezzina magari bevendo un bel ‘goto’ di vino, da buon friulano, con gli amici aquilotti".

Com’è nata la sua passione per il calcio?

"Fin da piccolo calciavo qualsiasi cosa, iniziai a giocare a calcio a cinque anni nella squadra del mio paese, il Visinale. I miei primi tifosi il papà Venanzio e la mamma Elena".

Il primo ruolo da lei interpretato non è stato, però quello di portiere.

"Fin da piccolo volevo fare il portiere ma per un motivo o per l’altro non me l’hanno concesso imponendomi di fare l’attaccante. Mi dicevano che ero bravo in quel ruolo e, in effetti, segnavo anche abbastanza gol. Non a caso nel settore giovanile del Treviso, che all’epoca era in Serie B o A, ero impiegato come punta. Poi la ‘trasformazione’ in portiere con il club Lia Piave".

Quindi se mister Italiano le chiedesse di fare l’attaccante non ci sarebbero problemi…

"Pur di giocare sarei disposto a fare qualsiasi ruolo, anche se il portiere resta il mio preferito. Di sicuro non mi sono dimenticato come si fa a giocare in attacco visto che alla Juve Stabia segnai l’anno scorso un gol contro l’Ascoli".

È stato dura la lontananza con i suoi familiari quando, da ragazzo, andò a giocare all’Udinese e poi al Chievo Verona?

"A dir la verità il mio distacco con loro è stato graduale perché quando a sedici andai a giocare a Udine riuscivo a tornare a casa. È chiaro che all’inizio non è stato facile, ma sono stato fortunato perché ho sempre trovato grandi amici nelle squadre in cui ho giocato ed a scuola".

Che scuola ha frequentato?

"Sono diplomato al liceo scientifico. Se non avessi giocato a calcio probabilmente avrei continuato gli studi che, tra l’altro, un giorno mi piacerebbe riprendere".

Sfatiamo, dunque, il luogo comune che i giocatori non vanno bene a scuola…

"A dir la verità a scuola me la sono sempre cavata sul filo di lana, mi sono sempre salvato all’ultima giornata…".

Si dice che i portieri abbiano una componente di irrazionalità, in campo e nella vita?

"A riguardo si dovrebbero esprimere la mia fidanzata, mia madre o i miei amici. Qualcosa che non va, però, sicuramente c’è (ndr. ride) perché uno che decide di fare il portiere fa il contrario di quello che fanno gli altri".

Che tipo è caratterialmente? "Non sono un ragazzo di tantissime parole, sono un po’ introverso, riservato, mi piace stare con le persone a me care".

Come ha fatto a conquistare la sua fidanzata?

"Giuditta l’ho contattata su Instagram, c’è stato da parte mia un lungo corteggiamento perché lei stava un po’ sulle sue, poi sono riuscito ad uscirci e da lì non ci siamo più staccati. Una storia d’amore che dura da due anni e mezzo e che avrà come coronamento la nascita di un bel maschietto".

Come lo chiamerete?

"Non abbiamo ancora deciso ma penso gli imporremo il nome di Alexander sulla scorta del grande Alessandro Magno, un personaggio della storia che mi ha sempre affascinato".

Come nasce il suo amore per la Russia?

"Per me è la seconda patria perché mia mamma è di Mosca. Quando posso vado spesso nella capitale russa, sono molto legato a quella terra. E poi ho il mito di Yashin, unico portiere ad aver vinto il pallone d’oro che purtroppo non ho avuto la fortuna di vedere dal vivo. Parlo anche un po’ di russo".

È vero che porta sempre una maglia con la scritta Nencio? "L’ho fatto fino a un po’ di tempo fa in memoria di mio padre che è mancato. Quella maglia, che ora non indosso più, è come se ce l’avessi sempre con me. Nencio era il suo soprannome".

I suoi hobby?

"Mi piace suonare la pianola visto che da piccolo suonavo il pianoforte".

C’è ancora spazio per i sentimenti nel calcio?

"Da parte mia ci sono sempre come nella maggior parte dei miei colleghi, ma essendo il calcio un sistema che va in una direzione aziendalistica bisogna adeguarsi".

Che idea si è fatta di Spezia e degli spezzini?

"A causa della pandemia non ho avuto modo di conoscere molto la gente spezzina, anche se le persone con le quali ho interloquito sono state molto socievoli e disponibili. Abito a Lerici, la città la vivo pochissimo, ma le poche volte che ci sono stato mi è piaciuta moltissimo".