
Il giudice per le indagini preliminari Mario De Bellis
La Spezia, 3 giugno 2022 - Morì a causa di un ictus, evento che - a motivo della fibrillazione atriale per la quale era in cura - avrebbe dovuto essere evitato con la terapia anticoagulante. Sarebbe stato il cambio di questa, più in particolare il ritardo nell’avvio della terapia con un nuovo farmaco (che avrebbe evitato il rituale dei controlli sulla densità del sangue), ad innescare la trombosi dagli effetti rivelatisi letali, dopo un mese dal malore. Accadeva nel 2015. La vittima è una donna che allora 84 anni ed era affetto da varie patologie.
Nei giorni scorsi la svolta nel procedimento penale apertosi per effetto della denuncia del figlio che aveva contestato la colpa medica al sanitario che dispose, a suo dire ‘arbitrariamente’, la sostituzione del farmaco, all’epoca responsabile del Centro di terapia anticoagulante orale dell’Asl 5. Dopo due richieste di archiviazione da parte della Procura e altrettante opposizioni dal fronte della parte offesa è arrivato l’ordine del Gip alla prima a formulare la contestazione di omicidio colposo. Un caso – raro – di “imputazione coatta”, prerogativa riconosciuta dal codice di procedura penale al giudice delle indagini preliminare quando, là dove la pubblica accusa non coglie gli elementi per chiedere il giudizio, lui si convince che solo un processo può dirimere il nodo connesso alla diversa interpretazione dei fatti. I fatti sono stati ricostruiti nell’opposizione alla richiesta di archiviazione formalizzata dall’avvocato di parte offesa Enrico Marzaduri e analizzati da due periti – nominati dal gip Mario De Bellis – per dare corso, come da sollecitazione di parte, ad un incidente probatorio.
Loro sono i professori Marco Di Paolo e Lorenzo Ghiadoni. Hanno concluso il loro lavoro “evidenziando la condotta negligente consistita nel ritardo della terapia anticoagulante (….) sostenendo la sussistenza di ciò con il decesso della paziente”. Per il pm Elisa Loris, e come già nella prima fase dell’inchiesta aveva dedotto il pm Luca Monteverde, “non può affermarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta doverosa omessa, qualora posta in essere, avrebbe comportato, con elevata probabilità prossima alla certezza la sopravvivenza della paziente”. La pensa diversamente l’avvocato Marzaduri che ha eccepito il ritardo eccessivo nella somministrazione del nuovo farmaco - circa 96 ore in luogo delle 24 raccomandate dalle linee guida - convincendo il gip ad ordinata alla prima l’imputazione coatta. Il processo si aprirà il 14 luglio davanti al giudice Gianfranco Petralia. Chiamato a difendersi, è il primario del Centro di terapia anticoagulante. Al suo fianco l’avvocato Alessandro Civitillo: "Siamo convinti di poter dimostrare l’inesistenza del nesso causale".