FABIO BERNARDINI
Cronaca

"I miei fratelli nati sotto le bombe" Martin, il ragazzo cresciuto in fretta

Erlic racconta la sua infanzia a Tinj, a due passi da Zara. "Abitiamo in campagna, con tanti animali". A dodici anni viveva da solo a Zagabria: "Ho pianto per la nostalgia. Ma sono diventato un uomo"

di Fabio Bernardini

Un ragazzo che a soli dodici anni si ritrova a dover crescere in fretta per inseguire un sogno. I sacrifici. Il legame fortissimo con la famiglia. La gioia della promozione in serie A con lo Spezia. È la storia avvincente dell’aquilotto Martin Erlic, croato di 22 anni, da due nel club bianco.

Erlic, tutto nasce da?

"Tinj, un piccolo paese di cinquecento abitanti vicino a Zara. Siamo in sette in famiglia: mamma e papà, due fratelli, due sorelle e io, il più piccolo. Mio papà Nino è stato cinque anni in guerra, mio fratello e le mie due sorelle sono cresciute durante il conflitto. Per la mia famiglia furono anni tragici, le bombe distrussero la casa che mio papà aveva appena edificato e che poi ha dovuto ricostruire al termine della guerra. Io e l’altro mio fratello non abbiamo vissuto quel brutto periodo perché non eravamo ancora nati, ma i nostri familiari ci hanno raccontato quei duri momenti. Mio papà è guardia forestale, mia mamma, casalinga, ha cresciuto i figli. Noi abitiamo in campagna, alleviamo tanti animali. La mia è stata un’infanzia felice perché la mia famiglia è molto unita".

La scuola?

"Non mi piaceva. A nove anni quando chiesi a mio papà di giocare a calcio lui mi rispose che prima avrei dovuto migliorare il mio rendimento scolastico. Io risposi con una frase che tuttora rammento: ‘Migliorerò, non ti pentirai’. E così feci, garantendomi il permesso di iniziare a giocare a pallone. Ho preso poi il diploma di cuoco all’alberghiero, mi piace stare in cucina. Magari un domani, chi lo sa, potrò aprire un bar o un ristorante".

Dove ha iniziato a dare i primi calci al pallone?

"Il mio primo club è stato il Rastaene, una squadra di Serie C. Per andare al campo camminavo ogni giorno quaranta minuti, mio padre non mi veniva mai a vedere per mancanza di tempo. Ho fatto tutto da solo. Un giorno siamo andati a giocare un torneo under 11 dove c’era anche la Dinamo Zagabria. Al termine della partita un dirigente della Dinamo chiese di poter parlare con i miei genitori, dopo tre giorni mio papà mi disse che il club della capitale voleva ingaggiarmi. Io ero felicissimo, anche se non fu davvero facile lasciare la famiglia a dodici anni per trasferirmi a Zagabria, a tre ore da casa. Ho pianto tanto in quel periodo perché mi mancava la famiglia. Chiamavo sempre i fratelli e le sorelle per avere conforto. Non mio padre, perché lui mi diceva sempre che si mi avesse sentito triste mi avrebbe riportato a casa. Poi sono andato a Rijeka e a 15 anni e mezzo il grande salto al Parma. All’inizio ho avuto qualche titubanza a trasferirmi in Italia, ma ormai ero cresciuto di testa, a sedici anni non avevo più problemi".

Com’è stato l’approccio con il nostro paese?

"Mi ha portato in Italia Francesco Palmieri, il responsabile del settore giovanile del Parma, ora al Sassuolo, che mi ha aiutato molto. Vivevo in una casetta al centro sportivo di Colecchio, non sapevo parlare la lingua, l’ho imparata nel giro di un anno. Spesso andavo in prima squadra con mister Donadoni, mi allenavo con campioni come Cassano e Lucarelli".

Dovesse fare un bilancio della sua vita?

"Alti e bassi, non è sempre stata una linea dritta. Ora gioco in serie A ma l’ho raggiunta dopo tanti sacrifici: quando gli amici andavano a ballare io stavo a casa, oppure quando i compagni di scuola andavano in gita io non andavo perché mi dovevo allenare. E poi ho avuto anche due infortuni".

Ha rimpianti?

"No"

La più bella cosa che ha fatto e di cui va fiero?

"Quello che sto facendo, perché posso aiutare la mia famiglia".

Il dolore e la gioia più grande?

"Nel primo caso quello di non stare con la mia famiglia, io metà della mia vita la vivo fuori da casa, non a caso appena posso torno subito là. La gioia più grande la promozione in serie A".

È religioso?

"Sì, sono cattolico. Prima di andare a letto dico le preghiere. Cerco di essere sempre sincero verso tutti".

Ha amici nel mondo del calcio?

"Sono molto legato a Federico e Matteo Ricci e a Elio Capradossi".

Matteo Ricci continua a farle gli scherzi?

"Sì, lui è furbo (ndr. ride)".

Si dice che lei sia permaloso.

"Si un po’, ma sto migliorando".

Un suo pregio?

"Se sbaglio mi piace lavorare e migliorare".

Oltre al calcio quali altre passioni?

"D’estate, quando torno a casa, gioco a tennis".

La sua vacanza preferita?

"A casa, in Croazia".

È fidanzato?

"No, sono libero".

Spezia e gli spezzini?

"Fin dal primo giorno mi hanno accolto molto bene, mi sembra di essere qui da una vita. Spezia è un po’ la mia seconda casa, sono molto affezionato".

Una volta disse: dopo la tempesta c’è sempre il sole. Visto il brutto periodo che continuiamo a vivere è sempre ottimista?

"Sì. È chiaro che anche per noi non è facile giocare con le tribune vuote però sono certo che un domani tornerà il Picco come ai vecchi tempi".