FRANCO ANTOLA
Cronaca

De Paolis e la Caccia ai nazisti: "Niente più che il mio dovere". Il rimprovero alle istituzioni: "Ignorata l’immane tragedia"

L’ex procuratore militare della Spezia alle stampe con il libro che racconta 15 anni di indagini. La sete di verità, la ragion di Stato e l’ipocrisia dell’uomo comune, che vuole dimenticare.

De Paolis e la Caccia ai nazisti: "Niente più che il mio dovere". Il rimprovero alle istituzioni: "Ignorata l’immane tragedia"

Quindici anni di indagini, più di 500 procedimenti penali istruiti per crimini di guerra (con la morte di 6.961 persone); 79 nazisti rinviati a giudizio, con la celebrazione di 17 processi contro i responsabili di 2.601 omicidi finiti con 57 condanne all’ergastolo. Il tutto ottenuto con più di mille rogatorie internazionali e l’audizione di 1310 testimoni. Marco de Paolis, attuale procuratore generale militare presso la Corte militare d’appello di Roma, già procuratore militare capo alla Spezia, oggi dice di "aver fatto solo il suo dovere, niente di più". Il suo ultimo libro ’Caccia ai nazisti’ è il racconto della sua ’missione’ dove gli atti giudiziari si intrecciano spesso con emozioni e stati d’animo personali.

De Paolis, per come sono andate le cose, ha qualcosa da rimproverarsi, col senno di poi, di fronte ai risultati raggiunti?

"Premetto che ho scritto diversi libri su questi temi e questo è un racconto di 15 anni intensissimi, caratterizzati da una forte esperienza umana oltre che professionale. Ho ascoltato migliaia di testimoni e interrogato un centinaio di nazisti, cosa che nessuno aveva mai fatto in Italia. Detto questo è anche vero che quando ho assunto le funzioni ero molto inesperto, ero stato giudice per 12 anni senza esperienza di Procura e il primo anno di lavoro è stato intenso e straordinario. Ecco, forse posso rimproverarmi di essere stato, nei primi anni, un po’ inesperto. Il rammarico più grosso, però, è che le istituzioni non abbiano fatto quanto avrebbero potuto non solo negli anni ‘60, ma anche nel ‘94, dopo la scoperta del famoso armadio della vergogna. Si poteva fare di più e invece non si è colto lo spessore della tragedia".

Lei ha detto che il dolore non va in prescrizione, parlando di sete di verità dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime. A distanza di tanti anni quella sete secondo lei è rimasta o è andata affievolendosi?

"Il problema è che i crimini di guerra soffrono di impunità, difficile perseguirli. Perdurando la guerra, c’è una sorta di ipocrisia per cui si fatica ad accettarli, basti pensare a quanto succede a Gaza o in Ucraina. A chi muore però non interessa da dove viene il missile, le vittime rimangono vittime. Dopo le stragi naziste, c’erano persone che hanno avuto la vita sconvolta, segnata per sempre, anche se cerchiamo di cancellarlo. Non è giusto. Nella famosa intervista a Fred Mayer, nel 2002, si raccontava degli stragisti che vivevano tranquilli nelle loro case con le loro famiglie. Tutto ciò ha fatto sì che la sete di verità sia rimasta e anche per noi che indagavamo è stata la molla che ci ha motivato tutti".

Marzabotto, Sant’Anna, Civitella in Val di Chiana, Cefalonia. Ci sono casi che l’hanno coinvolta emotivamente più di altri?

"Il coinvolgimento personale è derivato dagli incontri personali: dove c’erano più sopravvissuti maggiore è stato il pathos. E Sant’Anna, Civitella, Marzabotto e Cefalonia sono stati gli episodi con il maggior numero di testimoni diretti".

Chi o che cosa, secondo lei, ha impedito di raggiungere gli obiettivi sperati: c’è di mezzo la ragion di Stato o che altro?

"Sicuramente la ragion di Stato, non solo italiana ma anche europea e mondiale, ha pesato. Quando gli alleati cominciano a graziare i colpevoli e a non eseguire sentenze dopo Norimberga, è ragion di Stato. Ma c’è anche l’ipocrisia dell’uomo che vuole dimenticare e non vuole essere, per così dire, disturbato da certe verità. E’ come quando ci giriamo dall’altra parte di fronte al male. Purtroppo questo i nazisti lo avevano teorizzato. Hitler, a chi gli diceva che la soluzione finale scelta per gli ebrei avrebbe potuto risultare pericolosa per il sistema, rispondeva: forse qualcuno si ricorda dell’olocausto degli Armeni? La radice del negazionismo sta qui, a forza di sentire negare tutto poi il dubbio qualcuno lo coltiva".

Ci sono ancora i presupposti, oggi, per nuove indagini e per sperare in qualche sentenza sugli autori di crimini rimasti impuniti?

"Non credo si possa andare oltre, semplicemente per motivi anagrafici. L’attività giudiziaria è da considerare chiusa".

Una legge del 2022 consente un risarcimento dello Stato per i crimini tedeschi, ma i risultati non soddisfano i familiari delle vittime, si dice per l’azione dell’Avvocatura dello Stato che di fatto continua a rendere problematico l’accesso al cosiddetto fondo Draghi. Che idea si è fatto in proposito?

"Il tema è delicato. Siamo di fronte a una situazione complessa, con centinaia e centinaia di milioni necessari per riparare a disastri incalcolabili, non solo in Italia, ma anche quelli riferibili agli italiani in Albania, Grecia e Africa. Il tema è globale, non si possono distinguere risarcimenti di serie A e di serie B. Sono d’accordo, ovviamente, sulla necessità di ristorare le vittime ma occorre essere realisti. Oggi non ci sono più più vittime dirette ma, in gran parte, solo nipoti. Questo discorso andava fatto 60 anni fa, oggi semmai mi domanderei se ha più senso versare 10mila euro a un pronipote o impegnare risorse in modo diverso, finanziando politiche della memoria, per esempio col restauro di memoriali, luoghi dove i ragazzi di oggi possano riflettere sui tragici fatti del passato".

Lei ha partecipato in più occasioni ad eventi pubblici dedicati al tema delle stragi nazi-fasciste col coinvolgimento dei giovani. Che grado di consapevolezza e interesse ha trovato nelle nuove generazioni?

"Vado spesso nelle Università e nelle scuole e trovo un grande interesse. Sono per questo fiducioso, i ragazzi hanno un grande desiderio di imparare e di conoscere. L’importante è che le nozioni su questi fatti provengano da fonti istituzionali. Personalmente darò il mio contributo presentando il mio ultimo libro, a febbraio sarò a Lucca e Pontremoli e conto di venire anche alla Spezia, che resta la mia città".