Costrette a ‘dimettersi’ per restare a casa. Lavoro femminile falcidiato dalla pandemia

Sono le donne a pagare il prezzo più caro della crisi tra salari bassi, part time forzato e mancanza di risposte sulla conciliazione casa-impiego

Donne al lavoro in una foto di repertorio

Donne al lavoro in una foto di repertorio

La Spezia, 6 dicembre 2020 - Salari bassi, part time diffuso, tutele sindacali inadeguate, estrema difficoltà a conciliare le esigenze di cura familiare con quelle professionali: già prima della pandemia il lavoro femminile era penalizzato da gravi inadempienze e discriminazioni che avevano costellato la strada dell’emancipazione.

Oggi l’emergenza Covid lo ha reso ancora più fragile e instabile. Il blocco dei licenziamenti ha finora in parte ‘mascherato’ la reale portata delle conseguenze della pandemia, ma c’è da credere che il futuro riservi uno scenario economico e sociale ben più fosco dell’attuale.

Ne è convinta Lara Ghiglione, segretaria generale della Cgil spezzina. "E’ una realtà che abbiamo sott’occhio – osserva – ed è trasversale a tutti i settori, anche se in alcuni come il comparto turistico e dei servizi la situazione appare più grave. Abbiamo notizia di continue dimissioni. Ma la scelta di abbandonare il lavoro non è affatto una decisione personale consapevole, spesso si tratta di licenziamenti veri e propri sotto forma di mancati rinnovi dei contratti o comunque di una scelta determinata da situazioni di gravi difficoltà legate alla cura della famiglia e dei figli in particolare".

Anche alla Spezia la situazione è così grave? "Non c’è dubbio, l’estrema difficoltà di coniugare il mantenimento del posto con gli impegni di famiglia ha fatto esplodere la mancanza di risposte che già esisteva. Tutto è più complicato nel lavoro femminile. A parte il basso reddito, le donne stanno pagando il prezzo più caro della crisi. Alcune aziende, con lo smart working, stanno facendo a meno di molte posizioni e quando finirà il blocco dei licenziamenti saranno proprio le donne a pagare di più. La realtà è che il lavoro da remoto può diventare un elemento di estromissione o comunque incidere pesantemente sulle progressioni di carriera. La gestione dell’emergenza sanitaria, i problemi delle Rsa, il caporalato hanno paralizzato la discussione su certi temi, serve un nuovo percorso di contrattazione. Noi avevamo cominciato due anni fa convocando i cosiddetti stati generali delle donne e sollecitando il confronto su una contrattazione specifica, a cominciare dalla Asl, poi quel percorso si è interrotto. Ma non c’è solo questo".

E cioè? "A rinunciare al lavoro sono le donne perché nell’economia familiare hanno stipendi più bassi e non ci sono risposte istituzionali sul tema della conciliazione casa-lavoro. Dovendo scegliere, si penalizzano le donne. Ma questo è anche il frutto di una certa visione, della mancanza di empatia verso le esigenze del lavoro femminile, considerato spesso dall’opinione pubblica come meritevole di minore tutela, trattandosi di ‘un di più’ rispetto a quello maschile. Un approccio che si coglie anche di fronte allo sciopero indetto per rivendicare diritti ed istanze sacrosanti. Eppoi c’è una situazione oggettiva: i lavori di cura fanno capo soprattutto alle donne, le infermiere sono più degli infermieri, gli educatori scolastici sono in gran parte donne e con la riduzione del monte ore, alla fine, questa è risultata la categoria più penalizzata".