La Spezia, 8 settembre 2024 – Il turismo manda in strada gli spezzini bisognosi. Sembra una frase choc, ma è quanto emerge da un confronto con il personale della Caritas diocesana diretta da don Luca Palei, che ogni giorno si confronta con i problemi relativi alla povertà. E proprio quella abitativa è nell’estate del 2024 una delle emergenze più grandi, che interessa non soltanto le fasce di emarginati, quelli che abitualmente siamo abituati a veder dormire sul marciapiede, ma anche un’ampia fetta di persone che non sono collocabili nel pantano della povertà assoluta. Anzi, se circa il 50% di loro è disoccupato (al momento, non ci sono ancora statistiche ufficiali disponibili, ma dalla Caritas sono in grado di fotografare la tendenza con fedeltà) la parte rimanente ha, invece, un impiego. Di questi, una quota importante viene stritolata dal precariato, con contratti a termine e retribuzioni non in linea con un costo della vita sempre più alto , ma a sorpresa, si scopre che la casa sta diventando un miraggio anche per chi ha contratti a tempo indeterminato. “C’è stata, fra chi si è rivolto a noi, anche una dipendente delle Poste”.
Uno scenario impensabile, fino a qualche tempo fa, descritto da Elda Conte, responsabile del Centro di ascolto della Caritas diocesana. “La povertà abitativa è sempre più un problema anche per chi non rientra nella fascia di emarginazione – spiega – e lo vediamo dalle continue richieste che ci arrivano, almeno 3.4 a settimana. Ora, se come Caritas abbiamo a disposizione circa 20 appartamenti (presi in affitto dall’istituto diocesano di sostentamento del clero e dai privati) utilizzati come case di seconda accoglienza, non riusciamo ad acquisirne di nuovi per andare in soccorso dei tanti disperati perché non se ne trovano. Il mercato è completamente saturato dagli immobili ad uso turistico e quel poco che resta viene destinato agli operai delle ditte dei cantieri navali. Noi potremmo prenderne di nuovi in affitto, come già facciamo per queste 20, ma al momento non ne troviamo. E potremmo assicurare un pagamento sicuro ai proprietari, oltre che un controllo delle condizioni dell’immobile: ma questo non basta”. La situazione di emergenza determina anche due conseguenze, apparentemente secondarie, ma anch’esse pesanti come macigni. “Nelle case di accoglienza non riusciamo a sistemare l’intero nucleo familiare, perché si tratta di unità ridotte destinate ad una permanenza limitata e questo ha l’effetto di spezzarle, destinando mamme e figli lì e i padri in altre strutture, come i dormitori. Inoltre, chi si sistema lì, di fatto, non se ne va, inceppando un modo di operare rodato”. Il fil rouge di questa emergenza è la disperazione: a fronte della carenza di soluzioni le persone si arrangiano, rivolgendosi a familiari e ad amici che diventano un approdo comunque lontano da una situazione ideale per una famiglia p cercando sistemazioni provvisorie.
“Purtroppo spesso non riescono ad ottenere la casa popolare e anche quando questo accade, magari restano in attesa per anni e da parte nostra non riusciamo ad assicurare ulteriori sistemazioni per prendere in carico altre persone, neanche pagando e neanche in sinergia con il Comune. Va detto che questo fenomeno è sempre più trasversale, riguarda in maggioranza stranieri, ma anche pensionati e lavoratori stagionali che hanno comunque la disoccupazione quando non lavorano, ma non basta. Possiamo dire che fra chi resta senza casa, uno su 7-8 ha un reddito sicuro. Eppure…”. Per Elda Conte la Caritas è ‘l’ultima spiaggia’, a cui le persone si rivolgono dopo aver tentato altrove, ma l’impegno è continuo e in squadra, a partire dal Tavolo della Povertà a cui partecipano tutti gli attori operanti a favore dei più sfortunati.