
Dal 2007 non vede più il Palio. "Né alla Morin, né in televisione: per me è troppa emozione, poi mi sento male. Ho fatto un’eccezione lo scorso anno, ma solo perché mi ci hanno portato di peso". Luigi Baraldi senza il Cadimare non può stare, ma certe sensazioni vanno maneggiate con cura. E non importa che da ben 48 anni, dal lontano 1972, graviti intorno alla borgata dei Pirati, di cui è stato capo fino a 13 anni fa: l’amore non sbiadisce, anzi. Tantissime vittorie, nella prima domenica d’agosto, ma anche in gare extraprovincia. E non solo, perché esser una colonna di quella che da più di una persona è definita ‘la Juventus del Palio’, per le tinte che la contraddistinguono e per il numero record di successi, significa vivere anche momenti turbolenti. Oltre a quelli arrivati alle cronache due anni fa, ci sono state risse, squalifiche, rivalità estreme. "Con il Canaletto, per questioni sportive e con il Fezzano, per la vicinanza". Cadimare vuol dire vittoria. "Addirittura, siamo riusciti ad arrivar primi quando gareggiavamo con barche di scarto prestate da altre borgate. Certo, queste sono al centro di tutto: durante la mia permanenza ne abbiamo prese sei, l’ultima delle quali arriverà entro qualche mese". Baraldi snocciola gli anni in cui questi scafi figli della sapienza dei maestri d’ascia hanno dato una nuova chance ai vogatori: 1979, 1986, 1999, 2006, 2017 e 2020. Luigi passa l’infanzia a Cadimare, si trasferisce a Fabiano e nel frattempo inizia a lavorare come pescatore. "Non ho mai vogato, ma sono sempre stato qui: venivo a vedere il Palio e mio nonno è ricordato nella lapide dei caduti per mano dei nazifascisti del paese. Qui ho sempre fatto di tutto e dal 2004 sono tornato a vivere, ci sono anche i miei morti e c’è la mia mamma".
I tempi, da quando era factotum ad oggi sono cambiati. "Oggi sono meno impegnato: do le chiavi ai vogatori, controllo le barche. Sono tranquillo, perché abbiamo lasciato a giovani bravissimi, come il capoborgata Fabio Franceschini, un ragazzo d’oro che sa far tutto. Poi, ci sono l’allenatore Giuseppe Greco e Paolo Lavalle che dà sempre una mano: le cose vanno bene così, la società si regge intorno alla voga e a quel che serve per mantenerla. Ora è tutto diverso: non è più amatoriale, ma professionistica". Evoluzione che a Baraldi non piace. "I ragazzi si stanno già allenando per l’anno prossimo, mentre prima non era così: bastavano pochi mesi, anche uno o due. Ora è troppo pesante e i costi vanno di conseguenza: una stagione arriva anche a 40mila euro, dalla luce al riscaldamento per le palestre (anche se i locali sono nostri), i rimborsi spese per gli atleti, le visite e tutto il resto. Gli atleti si lamentano, dicono che è dura, ma se non gli diamo la chiave per allenarsi, poi sono i primi a ‘mogognare’". Non mancano i tanti flashback, partendo dall’orgoglio di aver vinto 26 titoli senior; "anche negli junior abbiamo una vittoria più degli altri, mentre per le donne ci siamo imposti una volta sola". "Voglio citare Idilio Mori, presidente della Società di Mutuo Soccorso che con Majoli del Canaletto è stato uno dei cavalieri del Palio. E poi, voglio ricordare che il vero record lo abbiamo noi, portato a casa con il tempo di 10 39’09’’ nel 1955: i nostri atleti si allenavano andando dietro alla Betta, il vaporetto che portava alla Palmaria i dipendenti della Marina e riuscivano a superarlo".
E su tutti, il momento più bello. "Nel 1984, quando ci siamo ripresi il Palio che avevamo perso nel 1983 col Fezzano. Eravamo stati squalificati l’anno prima, poi sono andato a Genova a parlare con il segretario nazionale della Lega Canottaggio e dopo due anni abbiamo trovato un pronto riscatto, sempre sull’onda del campanilismo fra noi e loro". Solo una della soddisfazioni che Luigi Baraldi ha provato da Pirata del Cadimare. Sempre pronto ad infiammarsi per la sua competizione sportiva del cuore. "Ora sono tutti più istruiti e ragionano, c’è gente di una certa cultura. Ma noi eravamo più ignoranti e le cose le risolvevamo picchiando i pugni sui tavoli". Anche quello è un modo di far affiorare una passione incontenibile.
Chiara Tenca