Calcio: ultrà e presidente della squadra, il Grosseto vola con Ceri

Eccessi (e galera) sugli spalti ma adesso è al vertice: "Conta soltanto la passione"

Simone Ceri portato in trionfo dopo la promozione in serie D

Simone Ceri portato in trionfo dopo la promozione in serie D

Grosseto, 3 aprile 2019 - I tifosi hanno festeggiato con un coro la promozione in serie D: «Picchia per noi, Simone Ceri». E Simone Ceri – copresidente del Grosseto, appostato da qualche parte lontano dalle autorità – ha sorriso di nascosto, lui curvaiolo e patron, caso unico nel calcio italiano.

Perché Simone ha la passione tatuata dentro: centinaia di presenze negli stadi d’Italia, parecchie anche in Inghilterra per mescolarsi agli ultrà del Millwall. Una militanza fisica spalmata anche fra Grosseto e Firenze: «Per sei anni anni – dice – ho frequentato la curva Fiesole, mi sono visto tutte le partite in casa e fuori facendo gruppo con i club, insieme agli altri mi sono fatto 60 ore di pullman per andare e tornare da Bistrita, perché il calcio senza sentimento non è niente. I tifosi sono la parte più importante, gli attori che devono essere salvaguardati. E io ho portato in giro la mia passione».

A volte anche troppo: quattro Daspo, un mese di arresti domiciliari e due giorni di carcere. E ora – più ancora di tanti imprenditori senza Daspo – ha in mente un modello di calcio a lunga carburazione. Stai a vedere che gli ultrà hanno la ricetta giusta, mentre il calcio cade a pezzi.

E qui a Roselle, dove sta nascendo il nuovo centro sportivo per le giovanili del Grosseto (due blocchi con foresteria, centro medico, due campi da gioco, un insediamento da 1600 metri quadrati per 3 milioni di investimento, un anno di lavori e consegna prevista il 30 giugno), Ceri spiega il lato B del calcio. Il suo calcio, quello vissuto per davvero. Ceri gestisce con lo zio Mario la Tosco Service, un’impresa di pulizie per strutture alberghiere e ricettive.

Ma parliamo di calcio: è dura la vita del dirigente?

«Io ero e resto un tifoso, rappresento la gente. Insieme a mio zio, che ora è diventato presidente, ho rilevato il Grosseto perché nessun altro si era fatto avanti quando la società stava fallendo».

Un tifoso è avvantaggiato, sa bene come trattare con gli ultrà.

«Il punto è proprio questo, siccome sono uno di loro, ho parlato con chiarezza con i miei amici della curva. Non ho promesso la serie C, anche perché non ce la potremmo permettere, ma sanno che condivideremo tutto. Conta il senso di appartenenza, il calcio si sta spersonalizzando troppo, le partite su Sky sono un programma come un altro, io vieto a mio figlio di vederle... Se vuole viene allo stadio».

E qual è il modello Ceri?

«Non prometto un’altra promozione, qui non ci sono abbastanza soldi. E poi avete visto gli stadi vuoti in Lega Pro? E quelli in serie B? Prometto la stabilità societaria e per questo investo sulle strutture immobili, il nostro sarà il centro sportivo più grande della provincia. La cultura vincente è quella del ‘noi’ e non quella dell’’io’. I risultati sportivi dei giovani non mi interessano, voglio allenatori che condividano la loro conoscenza e che non lottino per le loro vittorie personali’. Sembra un’utopia. No, è l’unica realtà possibile. A Firenze avete una storia magnifica, quella dell’Atletico Lebowski che è partito da zero e gioca in Promozione: non hanno niente, a parte l’appartenenza a un sogno che si sono costruiti per gioco. Quindi hanno tutto. Ci vuole sentimento, dobbiamo coltivarlo, preservarlo. E da tifoso dico ai tifosi del Grosseto che è inutile spendere tanti soldi per un giocatore, non è quello che fa la differenza: noi vogliamo creare un settore giovanile di qualità per formare i nostri calciatori e magari, se va bene, incassare qualcosa se qualcuno di loro merita di giocare fra i professionisti. Qua dentro, qui ci sarà l’anima del Grosseto, che poi è l’unica cosa che conta. E io qua dentro non sarò solo un proprietario, sarò la gente» .

Torna il concetto della passione. Pentito per gli eccessi da ultrà?

«Non li rinnego, né mi vergogno. Ho preso quattro Daspo per episodi di contatto, chiamiamoli così. Il primo contro i tifosi del Latina nel 1999, poi Rieti, Tivoli... Il fatto più grave a San Giovanni Valdarno. Mi sono fatto anche un po’ di galera per quello. Ma il calcio è passione, vita, anche sbagli certo. Il calcio è una cosa seria. E per le cose serie bisogna lottare sul campo, partecipando sempre».