Morte Albertazzi, una bara sul prato fra gli amici. Così il saluto laico a “re Giorgio”

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Il feretro di Giorgio Albertazzi (Germogli)

Il feretro di Giorgio Albertazzi (Germogli)

Sticciano (Roccastrada), 30 maggio 2016 - «Ha fatto un respiro e ci ha detto ciao. Poi ha chiuso gli occhi quasi sorridendo». Pia de’ Tolomei di Lippa ricorda con fatica gli ultimi istanti di Giorgio Albertazzi amato marito, unico al mondo, nel momento dell’ultimo saluto. Anche se non ne ha voglia, e non è neppure da lei, da country woman – come la chiamava Giorgio – parlare in pubblico. Telecamere, operatori, fotografi: una folla di giornalisti ha stazionato nella tenuta della famiglia Tolomei di Lippa per tutta la giornata in attesa di questa cerimonia laica, che alla fine si è tradotta in un ricordo di Oliviero Beha, mazzi di fiori e molta commozione. Per le istituzioni presente il sindaco di Roccastrada, Francesco Limatola. Nessun altro, né assessori di altre città, più la presenza di due gentili carabinieri. Giorgio Albertazzi era lì, per l’ultima volta nel suo salotto diventato camera ardente, avvolto in un lenzuolo bianco dentro una bara di legno chiaro. Un viso disteso, dolce. Un lieve segno di sorriso sulla bocca, forse chissà, potrebbe anche essere. Un leggìo per le firme, cuoricini, e frasi come «Grazie maestro».

«HO PERSO un amico straordinario», sussurra Ornella Vanoni. Arrivata da Milano anche Caterina Caselli, è commossa e lo accarezza sulle mani. Milly Carlucci non trattiene le lacrime e si volta quando un giornalista gli mette davanti il microfono: «Me lo vedo ancora là, sotto quell’albero, a parlare di lavoro, come pochi giorni fa». No. A volte non si dovrebbe dire niente. Mariangela D’Abbraccio è col marito regista, Francesco Tavassi; e ci sono Paola Pitagora e Maria Letizia Gorga. «Sono sconvolto, ancora non ci credo anche se sono qui», dice in un soffio Maurizio Scaparro. IL MESTO via vai degli amici in casa, l’arrivo di ex segretarie, dei collaboratori di Albertazzi, e quel briciolo di follia che accompagna questi momenti di addio, quando si fa finta che non sia accaduto, che lui ci sia e non è così: «Domani (oggi, ndr) andremo a Livorno per la cremazione – dice Pia con quegli occhi da bambina – poi giovedì al Teatro Argentina di Roma ci sarà il ricordo aperto a tutti. Ci saranno delle proiezioni bellissime». Da quel mondo che fu la Bottega Teatrale fondata da Albertazzi con Gassman, due allievi eccellenti come Cristina Borgogni e Paolo Lorimer. Alla fine arriva anche Lina Sastri con un mazzo di rose rosse: «Ciao Giorgio», piange.

SUL GRANDE PRATO di questa villa voluta da Tolomeo Tolomei, capostipite della nobile famiglia toscana, viene appoggiata la bara chiusa. E’ un secondo toglierla da casa e attraversare il prato: una commozione vedere Albertazzi arrivare così, portato in spalla ormai inerte, lontano da noi. Dieci minuti di applausi vogliono dire tutto. Gli occhi fissi su quella cassa, le lacrime sincere, sentite. Le mani che stringono Pia in un abbraccio. I suoi fratelli, Bernardo e Camilla non la perdono di vista. E’ polemico Oliviero Beha: «Basta, dire che Albertazzi è stato fascista. E’ una cretinata: sono cose finite negli anni ’40 ed è stato assolto. E’ come accusare Dante d’essere Ghibellino». Pia che da 35 anni, era poco più di una bambina, è la compagna di Giorgio. Con lui ha capito che crescere è accumulare. E’ ricchezza. E’ il succedersi delle esperienze. E questa è una proprio grande.