
PASCR-NAZ11G_WEB
Grosseto, 3 settembre 2017 - DON ENZO Capitani, direttore della Caritas diocesana, lo dice con tono tranquillo, pacato, forse perché lui con il disagio e le fragilità dell’essere umano ci fa i conti tutti i giorni, ma certo la notizia che dà è di quelle destinate a far discutere, o quanto meno a far riflettere. «Attualmente – dice don Enzo – alla Caritas ci sono cento persone che hanno il domicilio qui, ovvero ci sono cento persone (ma in realtà in città ce ne sono molte di più) che non hanno una casa, sono senza fissa dimora, e che quindi non avendo una propria residenza hanno scelto di domiciliarsi alla Caritas per avere quei diritti, un minimo di assistenza medica tanto per fare un esempio, che spettano comunque anche ai soggetti più deboli, più fragili».
UN DIRITTO alla domiciliazione che, secondo don Enzo, consente anche di squarciare il velo su un mondo sommerso di disagio. «Con la possibilità di domiciliarsi alla Caritas – prosegue don Enzo – possiamo dare un nome, un’identità a tutta una popolazione che vive nel bisogno, nell’emergenza, senza che il resto della collettività lo sappia. Dobbiamo interessarci di chi ci sta accanto, dei suoi problemi, dei suoi bisogni. Non dobbiamo vedere l’altro come un nemico, o peggio ancora come un competitor che, nel tentativo di soddisfare i propri bisogni, o difendere i i propri diritti, danneggia i miei. Dobbiamo chiederci come ci comporteremmo, come reagiremmo, se ci trovassimo noi in uno stato di bisogno». Però cento domiciliati alla Caritas sono tanti, come ormai sono tanti i «dormitori abusivi», che stanno sorgendo in diversi angoli della città. «Ma guardi – conclude don Enzo – che situazioni di bisgono e luoghi dove la povertà si toccava con mano, a Grosseto ci sono sempre stati. Penso alla baracche di via Clodia costruite con pareti di faesite, o le casette, che almeno erano in muratura, del Villaggio Kennedy. Tutto questo per dire che la povertà. l’indigenza c’è sempre stata a Grosseto, solo che ora ci è più vicina di quanto si pensi».
SUL TEMA ha le idee ben chiare anche il direttore del Coeso Fabrizio Boldrini, a costo di fare affermazione che potrebbe apparire impopolari. «Non giriamoci tanto intorno, il problema è quello dei clandestini, una parola peraltro inesatta con cui indichiamo quelle persone che sono rimaste fuori dai flussi migratori. Come se si potesse classificare, far rientrare in schemi, il sacrosanto diritto di emigrare da parte di chi vuole cercare soltanto una vita migliore. Il problema non è tanto il fare entrare o meno i migranti in determnati Paesi, ma piuttosto attrezzarsi perché siano una risorsa e non un problema. Queste persone, una volta entrate in un Paese straniero, devono avere la possibilità di lavorare per contraccambiare l’accoglienza che hanno ricevuto. E di ieri la notizia che a Grosseto i decessi hanno doppiato le nascite. Il posto per altre persone allora c’è. Persone che facciano quei lavori, magari umili, che i nostri giovani hanno abbandonato da tempo (i lavori dei campi per esempio), ma a per quei lavori queste persone devono essere preparati e adeguatamente formati».