Da molti giorni vediamo fotografi appostati fuori dai palazzi romani, pronti a cogliere le espressioni più interessanti dei politici. Ma c’è stato un tempo in cui i fotografi sceglievano con cura i dettagli da immortalare, anche perché i costi di stampa erano molto alti. Lo sapeva Ausonio Ulivi, che da Orbetello, a fine Ottocento, fece della fotografia un’arte e un lavoro.
Con le sue immagini documentò i monumenti e gli scorci migliori dell’Argentario, oltre ai principali eventi del luogo; ebbe contatti con i fratelli Alinari e vinse numerosi premi nazionali ed internazionali. Eseguì anche molte foto in studio, spesso ritraendo i propri figli.
Con Ulivi prese campo inoltre anche la tendenza di fotografare i briganti dopo la morte: i cadaveri venivano sollevati e collocati in posizioni apparentemente naturali. Come avvenne per l’unica fotografia che conosciamo del brigante Tiburzi: ritto, con gli occhi aperti, la cartuccera in vita e lo schioppo in mano, ma già morto.
Gli ultimi anni di Ausonio Ulivi, scomparso nel 1933, furono tormentati da uno squilibrio nervoso causato dalla morte del figlio maschio durante la Prima Guerra Mondiale. Ma le sue foto sono rimaste una preziosa testimonianza del passato, al contrario di tutte quelle che oggi, nell’epoca di Instagram, appaiono e scompaiono con un click.
Rossano Marzocchi