
Sembrava perso alla causa. Un potenziale costruttore di sogni finito nel retroscala degli indesiderati: "Lui ed Eysseric sono due esuberi in rosa", disse Pradé nel dicembre del 2020, annunciandone l’addio. Ma il calcio è il luogo della vita dove davvero mai dire mai. Così, un anno e mezzo dopo, non solo ha firmato per restare ancora a Firenze, ma lo ha fatto fra gli applausi della tifoseria intera. Una storia che bene racconta l’etica del riscatto. Perché la carriera di Riccardo Saponara da Forlì, giocatore che da giovane dicevano somigliasse a Kaka, non è stata una camminata sul proscenio luminoso, piuttosto un’incompiuta fatta più di delusioni che di sorrisi.
Cresciuto fra lo Sporting Forlì e il Ravenna, Ricky esplose nell’Empoli in serie B, quando il 4-3-1-2 vorticoso di Sarri era retto dalle giocate verticali del suo trequartista, formidabile a muoversi tra le linee al punto di chiudere la stagione con 11 gol e 14 assist. "E’ un fuoriclasse destinato a finire all’estero", disse di lui lo stesso Sarri che, dopo averlo allenato in Toscana, lo chiese con insistenza a De Laurentis per averlo anche nel suo Napoli. Invece Saponara non solo per giocare non ha mai avuto bisogno del passaporto, ma anche in Italia ha faticato a imporsi, sbagliando stagioni su stagioni. La sbagliò al Milan, che dopo averlo prelevato da quell’Empoli vide solo la controfigura del giocatore che dicevano essere il nuovo Kaka. Le sbagliò alla Fiorentina, che dopo averlo preso nella sessione invernale del 2017 non riuscì a consegnarli un ruolo nella squadra in disfacimento di Sousa. E le sbagliò anche nelle due parentesi genovesi, prima alla Samp e poi al Genoa, dove curiosamente, alternati da lunghe pause di niente assoluto, seppe segnare solo gol bellissimi: quello con il Milan, il tacco meraviglioso alla Lazio e pure quello a tempo scaduto alla Juve che un arbitro perfido gli annullò. Come se il suo animo fragile di artista del pallone avesse dichiarato una ribellione ideologica all’ordinarietà.
Chissà. Quando, dopo l’ennesima delusione, finì a Lecce e l’allenatore Liverani rivelò di avere ricevuto venticinque telefonate che gli sconsigliavano di prenderlo, la sua carriera sembrò finita a soli 28 anni. Un non sense per un calciatore che in allenamento stregava i compagni di squadra per la sua classe. A Firenze, per dirne una, Vlahovic lo chiamava "il professore". Ora: dare una spiegazione tecnica a ciò è difficile. Forse, come tutti i sognatori, Saponara ha pagato il tratto umano, la sua sensibilità di calciatore-ragazzo perbene che si intravede dietro ogni sua parola e ogni suo gesto. Una zavorra caratteriale. Chissà. Per fortuna, proprio come nei film di Frank Capra, anche nel calcio ci sono gli angeli custodi capaci di correggerti il destino. Quello di Ricky si chiama Vincenzo. Sì: è stato Italiano a soffiare vento nelle ali di Saponara, prima a Spezia e poi a Firenze, consegnandoli un nuovo ruolo ma soprattutto restituendolo a se stesso e alla fiducia nei suoi mezzi. E lui lo ha ripagato con prestazioni di livello altissimo, trasformando i fischi di un tempo nello standing ovation dopo un suo gol capolavoro al Cagliari. Riccardo Saponara, il costruttore di sogni che si era smarrito, riconsegnato all’onirico attraverso la disciplina, il sacrificio e il non mollare: c’è davvero qualcuno a Firenze che non applaude alla sua conferma?