
di Stefano Cecchi
Formidabili quei 5 anni fatti di vittorie, sogni e notti di coppe dei Campioni. Così magici da avere quasi paura che adesso il suo ritorno possa far correre il rischio di sgualcirne il ricordo. Non lo meriterebbe. Perché fra i 56 allenatori che la Fiorentina ha avuto, Cesare Prandelli da Orzinuovi, (detto per la magia del suo calcio "il mago di Orz"), è stato fra quelli più rispettati e più amati. Un allenatore con il quale Firenze ha spartito la gioia e condiviso i dolori. Non poteva essere diversamente.
Prandelli per i colori viola ha rapforse del nome che porta: alla nascita i genitori si erano accordati per chiamarlo Cesare ma siccome al padre piaceva di più Claudio, all’anagrafe all’insaputa di tutti lo registrò come Claudio Cesare. Un segreto che venne scoperto il primo di scuola all’appello della maestra "Claudio Prandelli presente?". "Prandelli chi?", rispose il nostro.
Da allora, chissà perché, quando faceva il calciatore tutti chiamarono Prandelli Claudio, quando invece diventò allenatore, per tutti divenne Cesare. Misteri della vita. Che forse già conosceva il destino di quel ragazzo. Perché per Firenze, come dicevamo, l’innamoramento per Prandelli fu duplice. Da una parte la cotta sfrenata e inebriante per l’allenatore. Un maestro di calcio, un Marsilio Ficinio del prato verde capace di riconsegnare la Fiorentina al Rinascimento sportivo dopo gli anni medievali dei Vierchowod e dei Cavasin. Dall’altra l’amore maturo per il Prandelli uomo, colui che disse tre volte no alla Gea di Moggi, che covava come una chioccia i talenti irrequieti alla Mutu ed ebbe il coraggio di non farlo vendere alla vigilia di una gara di Champions nell’interesse della squadra ma inimicandosi per sempre il patron viola Diego Della Valle.
Un uomo forse permaloso, come lo sono spesso i timidi. Di una franchezza acuminata, come lo sono gli onesti. Di certo con l’educazione antica di non chinare la testa per rispetto per sé stesso: a Orzinovi il nonno, piccolo imprenditore, a Natale era solito riunire i nipoti intorno a un tavolo e gettare una manciata di monete sul pavimento a mo’ di regalo. Cesare era il solo a non raccoglierle perché – ha poi spiegato – non voleva chinarsi verso un’elemosina, il suo Natale voleva guadagnarselo.
Ecco, forse grazie a questo duplice innamoramento per l’allenatore maestro e per l’uomo tuttodunpezzo, molte partite della sua Fiorentina hanno lasciato nel ricordo il profumo della magia: il doppio trionfo col Liverpool, lo 0-2 a Eindhoven, il 2 a 3 di Torino con Papa Waigo e Osvaldo. Una squadra capace di rimanere leggenda perfino nelle sconfitte, come nella semifinale Uefa coi Rangers e Vieri che calcia il rigore alla luna, e poi la partita rubata a Monaco da Ovrebo, in uno dei più grandi scippi del calcio moderno.
Sì, i 5 anni vissuti da Prandelli a Firenze dal dal 2005 al 2010, sono stati formidabili. Così unici che quando è andato altrove, Istanbul, Valencia, Dubai e Genova, e ha fallito. Come se Firenze fosse l’unico luogo al mondo depurato dalla kriptonite che gli paralizza le doti da Superman della panchina.
Torna dunque fra noi Cesare, tutta la città ti vuole bene. E se hai detto sì, son convinto tu abbia la certezza di poter dare ancora qualcosa alla causa. Perché, lo sai, da Radice ad Agroppi fino a Montella, spesso i ritorni si sono trasformati in incubi. Per il tratto umano fin qui mostrato, per quella linea d’amore ininterrotta, la tua storia fiorentina ha bisogno di restare solo nel sogno. Che svegliarsi diversamente non lo meriteresti tu, sarebbe dolorosissimo per noi.