Scricchiola il vecchio potere Pd. Fondazione Crf e Multiutility: sconfitte e troppe indecisioni. Il vento ora soffia da destra

Dopo la nomina di Bocca ai vertici di Palazzo Bufalini, la sinistra continua a cercare se stessa. E rischia di perdere posizioni anche nella maxi azienda che dovrà gestire elettricità, acqua e ambiente

Palazzo Bufalini, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze

Palazzo Bufalini, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze

Firenze, 26 ottobre 2023 – C’è chi ha perso (Curia), chi non ce l’ha fatta (la politica) e chi ha comunque vinto (Marco Carrai, fratello di latte di Matteo Renzi e king maker di professione). E c’è chi la guarda come una buona occasione (leggi centrodestra). Ma quanto accaduto a Palazzo Bufalini, sede della storica Fondazione Cr Firenze, in un’elezione al fotofinish, potrebbe essere letto come uno dei tasselli di un cortocircuito che passa per il progetto Multiutility, la creatura nel grembo del centrosinistra, lambisce i rapporti tesi Iv-Pd, e ciò che sottintendono (i 10 milioni per il Padovani ne sono l’emblema) e rischia di lasciare nell’impasse la partita cruciale delle amministrative. Con tante voci in un coro senza maestro d’orchestra per mettere in scena il concerto della vita. Probabilmente è lo specchio delle difficoltà in cui naviga il potere rosso. Perché in questi anni di guida il centrosinistra ha bruciato intere classi dirigenti lasciando vuoti di potere che oggi vengono riempiti dal ‘partito’ dei manager, sempre più potente.

Fondazione

Il primo Consiglio di amministrazione del nuovo corso della Fondazione non è ancora fissato, ma che ci sarà condivisione non sembra questione all’ordine del giorno. Soprattutto per le parole dette dal neo presidente Bernabò Bocca : la cassaforte di Firenze resterà al servizio della città con gli oltre trenta milioni di euro che ‘deve’ distribuire sul territorio. Bocca, sessant’anni compiuti il 15 ottobre sotto il segno della Bilancia, presidente di Federalberghi, torinese di nascita, cittadino del mondo, con casa e solidi interessi in città, è un manager capace e vanta buoni rapporti personali sia con il sindaco Dario Nardella, con il quale condivide anche la stretta sugli affitti brevi, che con il governatore della Toscana, Eugenio Giani, oltre che da sempre con Renzi. E, in fondo, non deve destare scalpore nemmeno la spaccatura interna al Cda con sette voti a favore di Bocca e cinque per il manager di Jp Morgan, Francesco Rossi Ferrini , una volta fermato con uno sgambetto il professor Sandro Rogari , indicato come pontiere. In fondo anche Luigi Salvadori venne eletto a maggioranza, eppure ha guidato l’Ente per quattro lunghi anni scanditi anche dalla pandemia. Politica e partiti sono fuori dal palazzo di via Bufalini per statuto. E l’esperienza a Palazzo Madama di Bocca, come senatore di Forza Italia, potrebbe anche essere archiviata in appendice alla vicenda.

Quello che fa parecchio rumore in città è come sia potuto accadere che il passaggio nell’ente economicamente più importante di Firenze, con una storia centenaria alle spalle, sia avvenuto sopra i cieli di Palazzo Vecchio, Palazzo Strozzi Sacrati e Università e abbia creato una divisione con la Curia. Non senza un misto di sorpresa e amarezza. Non è certo un mistero: alla fine il nome su cui convergere era quello di Rogari che, nelle intenzioni, avrebbe guidato la Fondazione fino al gennaio del 2025 quando il suo mandato sarebbe scaduto. Con il via libera di Carrai (e con Bocca come consigliere con deleghe o vicepresidente), lo volevano anche Nardella e Giani. Hanno provato anche a mediare con quel mondo cattolico (si narra di un’ultima telefonata bollente domenica sera con il cardinale Giuseppe Betori ) che invece appoggiava il manager adottato da Londra. Alla conta il prof aveva all’inizio 9 voti su 12.

I rumors iniziali volevano che poi, al posto di Rogari, dopo un periodo obbligatorio di ‘raffreddamento’ in Cda, rientrasse Carrai, manager fiorentino in buoni rapporti anche con il Ceo di Intesa, console di Israele, presidente dell’Aeroporto e, da poco, della Fondazione Meyer. Nonché amico personale di Matteo Renzi , con il quale condivide anche il destino giudiziario di Open. Destino che, per la verità, adesso sembra volgere a favore degli accusati, dopo la decisione del ministro Carlo Nordio in persona di sollecitare un’azione disciplinare nei confronti del pm Luca Turco, il loro grande accusatore. La manovra è cambiata in corsa. A sollevare l’incompatibilità di Rogari con la presidenza della Colombaria - mai contestata in 8 anni trascorsi in Fondazione - sarebbe stato Rossi Ferrini che ha voluto marcare la differenza sperando di spuntarla. Ma a poche ore dal Cda, nonostante Rogari si fosse dimesso per evitare la strettoia, il prof si è tirato indietro e Bocca, su cui già si favoleggiava da luglio, è passato di misura. La nomina non è certo dispiaciuta alle destre: il primo a fare le congratulazioni è stato il colonnello della premier Meloni in Toscana, Giovanni Donzelli , seguito a ruota da Marco Stella , coordinatore di Forza Italia.

Le prossime mosse e le deleghe in seno alla Fondazione riusciranno a definire il quadro. Ci sono posti chiave su cui il Cda ha l’ultima parola, come il consigliere in seno a Intesa che deve essere rinnovato nel 2025. E non è certo che anche gli asset organizzativi restino tali.

Multiutility

Eppure anche se l’affaire Fondazione fa più scalpore di altri, per il Pd ci sono altri pezzi di potere che potrebbero scricchiolare. Quello più rilevante si chiama Multiutility. Il rischio è che la creatura di sinistra, sponsorizzata all’inizio da Nardella e dal sindaco di Prato, Matteo Biffoni, possa diventare un cavallo di Troia usato dai fedelissimi della Meloni. Erano i sindaci a trazione centrosinistra a sognare, con la spinta dell’ex ad di Publiacqua e Acea, Alberto Irace , la grande azienda dei servizi senza dover regalare utili ai gruppi di fuori regione. A cominciare dai rifiuti che il capoluogo deve ancora mandare altrove. Ma dopo il primo stallo dettato da Estra, l’azienda del gas partecipata da Arezzo, Prato, Siena e Ancona, la musica cambia. Francesco Macrì , dirigente nazionale di FdI, in stretti rapporti con il ministro Lollobrigida, è infatti uscito indenne dal processo Coingas e torna saldamente in sella. Macrì, complice anche il vuoto di potere causato dall’assenza per malattia dell’allora ad Piazzi , comincia a sposare la teoria Multiutility. E in estate il patto Alia-Coingas, che assieme detengono il 64% del capitale di Estra, porta alla nomina, ai vertici di quest’ultima, di due uomini Alia: Alberto Irace (ad della Multiutility) diventa direttore generale e Nicola Ciolini (che della Multiutility a quel tempo era il presidente, prima di lasciare la poltrona a Lorenzo Perra) è il nuovo ad. Irace va avanti con il piano industriale quando spunta l’ipotesi della quotazione in Borsa. L’idea è semplice: piazzare il 40 per cento delle azioni per incassare milioni dal mercato.

Il Pd - è storia recente - fa muro: la quotazione va a scapito dei cittadini, sostiene il nuovo segretario regionale Emiliano Fossi , e va bloccata. Il convegno che FdI organizza a Siena sulla Multiutility però suona come un’uscita pubblica su un tema targato Pd. A quel tavolo siedono, tra gli altri, Francesco Torselli, Macrì, il sindaco di centrodestra di Arezzo, Alessandro Ghinelli, ma soprattutto quell’ Alessandro Tomasi , giovane e rampante sindaco di Pistoia, ora in predicato per la poltrona di Anci, che i fratelli vogliono traghettare alla guida della Regione nel 2025-2026. E, inutile nasconderlo, spaventa parecchio il Pd. L’opzione Borsa resta in stand-by fino alle prossime amministrative.

Le amministrative 2024

Tutto questo a otto mesi dal voto a Palazzo Vecchio. Le ultimissime danno Iv di Renzi correre in solitaria con Stefania Saccardi (lo strappo sul Padovani e magari anche la posizione di potere in Fondazione lo certificano). La speranza di Renzi è di portarla al ballottaggio. Ballottaggio a cui punta il centrodestra anche se ancora non ha sciolto il nodo sui nomi. Tanti civici (alcuni hanno detto di sì) oltre al già citato Eike Schmidt che vorrebbe usufruire dell’eventuale proroga alla guida degli Uffizi ma non può sperare in entrambe: sia la candidatura che il posto sicuro.

Ed è in questa strettoia che il Pd porta avanti le assemblee che traghetteranno al voto. Strategico sia per il partito che per la segreteria, anche nazionale. Tanto più che si giocano in simultanea con il banco di prova delle Europee, dove scendere sotto la quota del 18% significherebbe il default. Ma come sostengono alcuni grandi vecchi della politica una volta i candidati si sceglievano nel partito, dopo un percorso politico e non c’erano fughe in avanti. Adesso no. Cecilia del Re , forte di un consenso in numeri e cacciata dalla giunta Nardella, si autocandida e batte i piedi per le primarie, anche andando allo scontro aperto con il segretario cittadino. La segue a ruota Rosa Maria Di Giorgi che poi molla il Pd e vola a casa Renzi. In mezzo spunta Monia Monni , assessora regionale. Resta nell’ombra Sara Funaro , il nome su cui Nardella vuole fare quadrato. E’ scontato che in assenza di una cabina di regia solida si riparli, ad ogni piè sospinto, di Eugenio Giani. Il governatore che potrebbe fare sintesi e vincere Firenze. Ma il prezzo da pagare resta altissimo.

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