TITTI GIULIANI FOTI
Firenze

Le favole di Oscar Wilde lette da Gabriele Lavia

In scena fino a domenica 24 aprile

Gabriele Lavia (ph. Filippo Manzini)

Firenze, 20 aprile 2022 - In scena da solo con un leggìo, e con un inutile microfono che non funziona. Le tavole del palcoscenico, lo sfondo di un teatro senza quinte né scenografie né un po’ di musica. Diciamo una specie di citazione al minimalismo off e  sperimentale degli anni 70. Gabriele Lavia ha debuttato  l’altra sera al Teatro Goldoni, dove rimarrà fino a domenica 24 aprile, con una scelta precisa, dire «Le favole di Oscar Wilde»:  una rara lettura per un maestro del teatro italiano. L’idea di partenza è fare qualcosa per andare incontro alla voglia di teatro e di partecipazione del pubblico  che ha riportato gli spettatori all’attenzione del presente, qui attraverso la genialità di Wilde. Lavia inizia  sfiorando l’argomento guerra, che gli risulta intollerabile, e che legge nel pensiero del pubblico sapendo quanto si ritragga a questo concetto, come un animale domestico quando scoppiano  tuoni o  fuochi d’artificio.

Misurarsi con due favole di Wilde e prima divagare un po’ da istrione qual è del teatro italiano. Perché anche lui non sa,  davvero non sa, da dove proviene quel rumore insensato di bombe e guerra: sa dare  torti a chi invade  ma come tutti, e con umiltà spiega a chi non sa dare le ragioni.

E poi le due letture: introdotte ai motivi che portano Wilde a scriverle. All’apice della notorietà lo scrittore inglese inventa  alcune fiabe per i figli Cyril e Vyvyan:  sono storie malinconiche, popolate da principi ingenui, regine in incognito, giganti  usignoli generosi, fattucchiere, razzi vanitosi che lui soltanto accenna ma inquadra e centra nella loro sostanza. Spiega che  l’intento era quello di divertire ed educare i bambini a una vita giusta e felice. Ci mette dentro Lavia anche la difficoltà di  Wilde di mantenere una doppia vita, tra un matrimonio di facciata e l’omosessualità difficilmente occultabile. Letti e interpretati «Il Principe Felice» e «Un ragguardevole razzo».  La statua del Principe Felice e la piccola rondine non sono che due varianti del carattere di Wilde: mondano e godereccio l’una, malinconico e compassionevole l’altro.

Una critica alla società vittoriana inglese dal teatro Goldoni  e quasi un appello a esaltare i bambini che nella loro  ingenuità vivono di sogni e se la prende con chi, da intellettuale scettico e razionalista, ridimensiona le loro fantasie. La vita, quando è messa a repentaglio, diventa minima, e ha solo bisogno di un po’ di calore. Una serata da favole, appunto.