Non rinnegare il patto con ciò che è umano

'La forza prigioniera' di Anna Ruchat, per ripensare queste giornate

Anna Ruchat (foto da facebook, Premio Chiara)

Anna Ruchat (foto da facebook, Premio Chiara)

Firenze, 3 novembre 2021 - Le date aiutano. Sono segnali, punti di riferimento, a cui ancorare anche volti, situazioni, simboli che parlano alla sensibilità o, meglio, che rendono sensibili. Il pellegrinaggio dai cari in queste giornate di novembre dice molto e non sempre è un passo mesto a sostenerlo. Nicola Romano ha ribaltato i punti di vista immaginando che siano i morti a portare i fiori ai vivi. Per parte sua Anna Ruchat (1959) -  scrittrice e traduttrice dal tedesco che a settembre ha partecipato a Firenze al Festival internazionale di poesia intervenendo a un confronto sulla traduzione con Jens Nielsen e Marina Pugliano (sua, peraltro, la cura di 'Lettere dalla notte' di Nelly Sachs, Giuntina) - esplora nel suo ultimo libro lo spazio di oscillazione che c'è tra “La forza prigioniera” (ed. Passigli, Firenze, 2021) che è dentro ciascuno e quel senso vigiliare, di attesa, che sembra scritto nella vita, come un continuo inizio, un lungo lunedì, “lunedì ammassati alle pendici dell'anno”, quasi “un un bosco di soglie ma ogni inizio è già alle spalle”. La vita è fragile e delicata, per questo preziosa. In una delle definizioni che Ruchat accoglie nell' esergo che apre la sezione 'Pietre' essa è definita “lo spazio di tempo nel quale gli organismi superiori si interrogano sulla propria deperibilità”, come mani che vogliono abbracciare le corde dell'esistenza. E in che modo si interrogano? In una lirica molto suggestiva Ruchat si pone per l'appunto dall'altra parte: “Chissà se si ricordano di noi / i morti / ogni volta che in quella loro altra vita fioca / ci sentono / e da dietro la sterpaglia della memoria / nelle strade, nelle case magari ci osservano / chissà / se ancora rimpiangono / quel su e giù del respiro / quel tradurre avanti e indietro il dolore / quando ci vedono / e pur di guardare non gridano”. L'appuntamento con queste riflessioni prima o poi ci raggiunge, un po' percorre i corridoi della mente e finalmente arriva. Talvolta trova modi inaspettati per presentarsi. Un'altra poesia infatti, che sembra un po' una eco dell'altra già citata, celebra un vicino: “Una pozza di petali rossi / si allarga / sotto la camelia / proprio davanti / alla finestra del vicino / che chiacchierava dal panettiere / di Bach, /e di Sokolov / come / della pioggia. / Se n'è andato così / in un baleno. / Appena prima / della grandinata / senza avere nemmeno / il tempo di salutare / lui / così cordiale”. Si è percorsi anche dalla delicatezza degli altri e non è detto che quelli che parlano di più dentro di noi siano quelli che immaginiamo. Nelle poesie di Anna Ruchat (cinque le sezioni: Pietre, La forza prigioniera, Impronte, Il rovescio nascosto e Grat Wanderung) incontriamo anche l'angelo che “schiaccia / ostinato / il drago della paura” e gli esseri inabissati “nel mare nero”, gli immigrati, destinatari di rose nelle fosse dell'acqua. E' proprio questa passeggiata nella fragilità, abitata anche dal “timore di qualcuno che rubi un lunedì”, che spinge Ruchat e chi nel condivide il percorso, a “non rinnegare il patto con l'umano”. La postfazione di Domenico Brancale è complementare alla ricerca dell'autrice, alla volontà tenace in noi di “chiamare per nome ciò che esiste per sempre”. In qualche modo traduciamo e trascriviamo “le pagine di vita che sono andate perdute”, spogliandoci di tutto “fin quando non rimane che l'inizio. L'inizio è già alle spalle. Allora qualcosa torna alla luce”, ciò che fin dal principio “è al di là di noi”. Siamo tutti alla vigilia, siamo tutti un lunedì. Michele Brancale

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