Vichi
Avrebbe potuto caricarla in macchina, mettere la carrozzina nel portabagagli e portarla in giro sulle colline intorno a Firenze, oppure al mare, quello stesso mare dove andavano da bambine, quando erano due sorelle inseparabili, e magari avrebbero potuto ricordare le avventure che avevano vissuto insieme e sorridere delle sofferenze dell’adolescenza, le più crudeli, le più assolute… Avrebbe potuto parlare con lei di quando si confidavano le cose più intime, di quando le chiamavano "le gemelle", anche se sua sorella aveva due anni di più… Avrebbe potuto cercare di capire insieme a lei come mai dopo i loro stupidi contrasti non si erano riavvicinate. Era stato per orgoglio da parte di tutte e due? O per quel modo assai moderno di rinviare continuamente qualcosa pensando che tanto ci sarebbe stato il tempo? Invece il tempo non c’era stato.
Avrebbe potuto parlarci con sincerità e scoprire a poco a poco che sua sorella voleva chiederle scusa, e magari anche lei le avrebbe chiesto scusa, e avrebbero pianto insieme, ma solo per pochi secondi, poi si sarebbero sentite leggere, sarebbero diventate allegre come ai vecchi tempi, contente di aver recuperato la loro profonda amicizia che per anni nessuna delle due aveva pensato che potesse rompersi…
Invece era successo, non si erano più trovate, non si erano più viste, non si erano più sentite per venti lunghi anni. Con una sola eccezione, il funerale della loro mamma, undici anni prima. Viaggiando in macchina senza meta, avrebbero potuto parlare anche della mamma e del babbo.
Di cose da dire ce n’erano molte, o anche solo da pensare insieme, una accanto all’altra, senza dire nulla, riuscendo a capirsi con lo sguardo, anzi solo con il respiro, in silenzio, come accadeva quando erano bambine, poi adolescenti, poi ragazze. Quante volte a tavola, anche quando c’erano i parenti, avevano parlato senza parola, all’insaputa di tutti. Si erano dette un sacco di cose senza pronunciare una sola parola, se non magari qualche monosillabo, che però valeva un discorso intero. Un loro codice segreto, come accadeva a tante sorelle e a tanti fratelli. Avrebbero potuto parlare della loro famiglia.
Era stata una bella famiglia. Sì, erano stati una bella famiglia, tanti anni prima… Complicità, scherzi, dolcezza, una valanga di affetto, un senso di vicinanza che raramente avevano colto nelle altre famiglie, ma solo dopo, quando erano cresciute e avevano potuto fare il paragone, perché quando erano bambine la loro bella famiglia era normale, era così che secondo loro erano tutte le famiglie, ma poi avevano capito che invece non era così. Avrebbero potuto fare un lungo giro insieme senza dire nulla, sentendo la stessa cosa: la barriera che si era alzata tra di loro era crollata, era stata sconfitta… Invece non aveva fatto nulla di tutto questo, non aveva potuto fare nulla…
Aveva saputo della morte di sua sorella a cose avvenuta, addirittura il giorno dopo, insieme all’annuncio del funerale. Non sapeva nemmeno che sua sorella stava male, che da cinque anni non poteva camminare… Non sapeva nulla di nulla, fino a che non aveva saputo che era morta.
Era andata a salutarla quando era già sdraiata nella cassa, con le mani intrecciale e la bocca cucita dai becchini, e l’aveva trovata esattamente uguale all’ultima volta che l’aveva vista, al funerale della mamma. Invece del dolore aveva provato un’immensa incredulità… Non era possibile, non ci voleva credere, e quella sensazione era peggio del dolore.
Il giorno dopo era andata al funerale e l’aveva accompagnata al cimitero. Mentre l’addetto alle sepolture stava murando sua sorella in un forno, aveva pensato che… che avrebbe potuto andare a trovarla a casa, e poi in ospedale, avrebbe potuto essere presente nel momento in cui se ne andava, tenerle la mano, guardarla negli occhi, salutarla… Sì, avrebbe potuto fare tante cose con lei, ma non era stato possibile, non sarebbe stato più possibile. Dopo il cimitero era tornata a casa e finalmente aveva pianto, con quel pensiero in mente… Avrebbe potuto, avrebbe potuto… e invece…