Perlasca, la libertà di scegliere. Per il bene

Alessandro Albertin porta al Puccini la storia del commerciante italiano che salvò la vita a oltre 5mila ebrei. "C’è bisogno di eroi"

di Barbara Berti

"Chi era Perlasca? Un eroe. Forse è una risposta banale, forse andrebbe inventato un neologismo per definirlo. Ma una cosa è certa: oggi, soprattutto i più giovani, hanno bisogno di eroi e di eroismi".

Così Alessandro Albertin, attore professionista diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano nel 1999, che torna al Teatro Puccini di Firenze il 24 gennaio (ore 21) con il toccante monologo (da lui scritto) "Perlasca. Il coraggio di dire no".

Con il suo spettacolo porta in scena uno spaccato di storia italiana molto importante?

"Sì, siamo a Budapest nel 1943. Il commerciante di carni italiano Giorgio Perlasca, disertore della Repubblica di Salò, è ricercato dalle SS per tradimento. Su invito del generale spagnolo Francisco Franco, si presenta all’ambasciata spagnola per sfuggire ai tedeschi. In pochi minuti diventa Jorge Perlasca. E in soli 45 giorni, sfruttando straordinarie doti diplomatiche e un coraggio da eroe, evita la morte ad almeno 5.200 persone. Nonostante tutto, però, vive nell’ombra fino al 1988, quando viene rintracciato da una coppia di ebrei ungheresi che gli devono la vita. E anche quando viene dichiarato Giusto tra le Nazioni non se ne vanta. Come diceva Gino Bartali, tanto per citare un fiorentino, ‘il bene si fa ma non si dice e certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca’. E Perlasca in questo era come il ciclista".

Perlasca in un attimo si è ritrovato da alleato a ricercato… "Davanti a qualcosa di terribile si può agire in due modi: commentare la cosa oppure occuparsi della cosa. La prima soluzione è quella più comoda e ci conduce inesorabilmente al tasto ‘mi piace’ di Facebook. La seconda soluzione è più scomoda e richiede coraggio e umiltà. A commentare siamo capaci tutti, per occuparsi di un problema e risolverlo serve la volontà di farlo. Ed è questa la grande lezione che ci ha lasciato Perlasca".

Ed è da qui che parte il suo racconto?

"Sì, dialogando con alcuni personaggi che hanno affiancato Perlasca nella sua avventura straordinaria a Budapest nell’inverno tra il 1944 e il 1945. Sono circa una quindicina di personaggi, da uomini in divisa nazista a bambine ebree spaventate. Grazie alla magia del teatro, senza trucco e parrucco, ma cambiando la voce e l’interpretazione, si riesce ad andare con la mente a quel momento storico".

Una pagina di cui oggi c’è ancora bisogno di parlare?

"Assolutamente sì. E sa come lo capisco? Dal rigoroso silenzio e dall’attenzione degli studenti durante il mio spettacolo. I fascismi, nazismi e razzismi non passeranno mai di moda. E per questo che bisogna parlarne. Spesso mi chiedono di mettere in scena questo spettacolo in occasione della Giornata della memoria ma questo è un testo dedicato al libero arbitrio, alla possibilità di scegliere davanti a una situazione e per questo non ci sono limiti temporali".

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