
L’abito da sposa con il numero 1522 del centro antiviolenza sulle donne
1522: un numero che non dovrebbe restare alle pareti di un centro antiviolenza, ma stampato sugli abiti, tra “lavare a secco” e “non candeggiare”. È il numero da chiamare quando l’abitazione diventa una trappola e l’amore una minaccia. E non è un problema solo da donne. Emanuele Pepe, 32 anni, artista prestato alla moda con la linea EP5 ("cinque è il mio numero portafortuna", sorride), nato in Puglia ma con l’atelier a Roma, espone dal 17 al 19 giugno - all’interno del progetto Fashion Beyond Waste a Villa Biagiotti - un abito da sposa. Ma niente tulle, niente romanticismi. Solo scritte come fatte col rossetto, veloci, nervose, e lucchetti all’orlo che sono ornamento e simbolo, perché a volte la brutalità si chiude a chiave in casa per restarci resta. "Anche la realizzazione di un sogno, come il giorno del matrimonio, può trasformarsi in un incubo". Il contesto? Il più impeccabile: Pitti Uomo, palcoscenico internazionale dove la mascolinità si misura a suon di tagli sartoriali e stoffe pregiate. Il messaggio è chiaro: tutti gli uomini si prendano la briga di ascoltare. O almeno di guardare. Lo incontriamo mentre ultima il suo “abito concettuale”.
Nella sua creazione è arrivata prima l’idea o la rabbia? "Ho pensato a quanto sia importante scuotere le coscienze di coloro che passeranno nei padiglioni della manifestazione fiorentina, perché non c’è occasione né tempo da perdere per ribadire che eliminare la violenza sulle donne parte dalla testa dei maschi. Un tema che riguarda tutti da vicino e non è più tollerabile: con questa operazione volevo avvicinarmi a un potenziale carnefice - tutti gli uomini lo sono - perché fosse un messaggio sia politico, sia sociale".
Tra tacchi rossi, t-shirt femministe e abiti manifesto, la moda si sta occupando con sempre più di questo tema. Non può essere interpretato come autopubblicità? "Nel mio caso, no. L’abito non verrà venduto ma regalato a un’associazione per difendere la donne. Oltre alla mia installazione - che tra fiori lasciati marcire e la canzone Perfect Day di Lou Reed intende anche volutamente disturbare – non c’è neanche un solo abito delle mie collezioni. Per esempio, ho in cantiere un progetto con ragazzi autistici, ma non vorrei essere mi presento come un creativo che realizza una certa moda solo per far bella figura. Anzi, pensi che in molti mi hanno rimproverato di non “approfittare” commercialmente di un’occasione così rilevante per il Made in Italy".
In quanto esponente della comunità LGBT, crede ci possa essere una condivisione di dolore tra persone che conoscono abusi, ingiustizie, soprusi? "Credo che la comunità LGBT faccia il suo dovere, ma preferisco non essere etichettato. Il fatto di avere un compagno, e non una compagna, non mi esime dal sentirmi un maschio che è comunque coinvolto dalla tragedia delle violenza di genere alimentata da sessismo e misoginia: credo nell’alleanza tra persone che subiscono prevaricazioni e prepotenze, fino a essere uccise".
È vero che in EP5 ogni capo può essere indossato da ragazzi e ragazze? "Certo. La mia ispirazione sono abiti vintage che poi smembro, riassemblo, ricucio, dipingo, ma non hanno sesso. Li ha indossati Carolina Crescentini come l’attore Giancarlo Commare, il cantante Motta come Ambra Angiolini: sono capi unici perché non ce ne saranno mai due uguali, ma comunque adatti a tutti, senza distinzione. La moda deve farti sentire libero di essere chi vuoi: questo è l’obiettivo. Per fortuna i giovani hanno già una grande sensibilità che va in questa direzione".
Cosa pensa della moda dei grandi marchi di oggi? "Sta smarrendo il coraggio di guardare “fuori” dal mondo e “dentro” le persone. Un tempo - ho un’anima antica, a dispetto della mia età - sapeva parlare senza parole, dava forma a ciò che ne aveva. Ora rincorre i numeri, come se bastasse far quadrare un bilancio per dare senso a un abito".