PIETRO MECAROZZI
Cronaca

I pendolari dell’edilizia: "Da un cantiere all’altro. Non abbiamo scelta: lo facciamo per i figli"

Firenze, partenza all’alba sul pulmino coi muratori poi al lavoro fino al tramonto. Mille euro di stipendio, 650 per l’affitto (condiviso) in 40 metri quadrati

Tonfano (Lucca), 21 febbraio 2024 – Le mani di Antonino D’Aleo sono guanti di polvere e scaglie di cemento. Sul volto le rughe scavate da una vita che non gli ha mai fatto sconti. È un personaggio di Hemingway: stoico, verace come solo un siciliano di altri tempi sa essere, stanco ma fiero di tenere in mano cazzuola e secchio.

Ha lasciato la sua Corleone da 32 anni, e da 25 vive a Firenze. È un nomade dell’edilizia, come lo erano le cinque vittime schiacciate dalla trave crollata venerdì scorso in via Mariti, a Firenze.

Saliamo sul pulmino che ci porterà sul cantiere, sul retro ci sono i sacchi di cemento e tutto il necessario per lavorare. Sono le sei e mezzo di un lunedì mattina: per i prossimi cinque giorni Antonino vivrà a Tonfano (Marina di Pietrasanta) in un piccolo appartamento preso in affitto, che condividerà con altri due operai.

"Si tratta di un cantiere di dimensioni ridotte – racconta il 59enne –, non avevo bisogno di una squadra troppo folta. Per i prossimi mesi, però, ho già l’agenda piena: Roma, Piacenza e isola d’Elba, lì ci sarà bisogno di più uomini e la sveglia il lunedì mattina suonerà alle quattro e mezzo".

Il cantiere di via Mariti dopo il crollo
Il cantiere di via Mariti dopo il crollo

Salgono gli altri, il pulmino è al completo. Regna il silenzio, gli sguardi fissi fuori dal finestrino, i bei ricordi del fine settimana sono il cuscino su cui poggiare la fronte. Soufiane Tahiri, 32 anni di origini marocchine, ha ancora addosso il profumo della menta con la quale ha preparato il tè poco prima di partire.

La foto dei figli sul cellulare di Enver Gashi, il terzo operaio (52 anni, arrivato in Italia dopo essere scappato dal Kosovo nei primi anni ‘90), illumina l’abitacolo del camioncino, mentre fuori il sole si fa spazio tra le Apuane.

Soufiane Tahiri, marocchino di 32 anni
Soufiane Tahiri, marocchino di 32 anni

«Siamo davvero sconvolti per quello che è successo nel cantiere dell’Esselunga – esordisce il ragazzo marocchino –, ci ha toccato da vicino. Conoscevo una delle vittime, Taoufik Haidar, ci vedevamo in giro per Firenze, era un uomo gentile e un gran lavoratore".

Soufiane ha una laurea in Letteratura francese, parla quattro lingue, teneva corsi privati per studenti che volevano migliorare il proprio inglese. I soldi però non bastavano: c’è una famiglia da mantenere a Marrakech, un fratello, una madre e un padre che contano sul suo stipendio.

"Il cantiere è la nostra ultima spiaggia – spiega –, la fatica è tanta, ma lo stipendio è dignitoso, almeno supera i mille euro. Non voglio passare tutta la vita qui, questo è certo, ma non ci sono alternative".

Il maestrale intanto soffia via le ultime nostalgie degli altri manovali. Tonfano è una giungla di acciaio e impalcature: il paesino – come ogni inverno – si sta rifacendo il trucco in attesa di accogliere una nuova stagione estiva.

I muratori nel cantiere di Tonfano
I muratori nel cantiere di Tonfano

Entriamo nella liturgia di inizio settimana: accanto a noi altre ditte di trasfertisti scaricano i materiali e istruiscono i dipendenti. Su un ponteggio alto dieci metri, tre uomini armano un solaio sparando cemento armato da un tubo flessibile che come una proboscide succhia il materiale dal camion-betoniera parcheggiato sulla strada.

Luigi Coclite, Mohamed Toukabr, Taoufik Haidar, Mohamed El Farhane e Bouzekri Rachimi, prima di finire schiacciati dalla valanga grigia, stavano facendo la stessa cosa.

Sono una squadra di dieci operai, quasi tutti marocchini, qualcuno è originario della Campania, dopo qualche domanda la betoniera smette di impastare, il cantiere si svuota in pochi minuti. Sulle loro teste non ci sono caschetti di protezione, sui loro fianchi nessuna imbracatura è legata.

"Adesso l’allerta è ai massimi livelli – aggiunge Antonino –, io sono stato dall’altra parte prima di aprire una mia ditta: ho fatto il trasfertista per dieci anni per una grande impresa, ma quella non era vita. Sei sfruttato, loro ti garantiscono vitto e alloggio quando sei fuori, ma per il resto ti devi arrangiare da solo".

Nessuna preparazione, nessun vecchio mastro artigiano che ti insegna il mestiere: "Ti piazzano gli attrezzi in mano e ti consigliano di rubare con gli occhi dai colleghi più esperti, se vuoi mantenere il posto".

Cala la notte. La spatola lascia il posto a una donna di fiori e una regio di quadri protagonisti di una partita a briscola, la malta diventa una birra ghiacciata consumata con avidità, il bar un cantiere dove costruire amicizie.

Antonino D’Aleo, siciliano trapiantato a Firenze da 25 anni
Antonino D’Aleo, siciliano trapiantato a Firenze da 25 anni

"Non ho visto i miei figli crescere per colpa di questo lavoro – tuona Enver –, adesso sono grandi e il nido si è svuotato. Ma dentro di me so di aver fatto il massimo per garantirgli un futuro diverso dal mio".

Dalla camera di Soufiane, invece, si sentono le onde schiantarsi sulla battigia. Il suo letto dista pochi centimetri da quello di Antonino, Enver dorme su un divano improvvisato. Mobili consumati e pentole incrostate sviliscono i restanti quaranta metri quadrati (scarsi) dell’appartamento in affitto.

"Siamo stati fortunati – spiega il ragazzo –, è bassa stagione e ci hanno chiesto 650 euro per un mese. In media devi calcolare almeno mille euro per l’affitto, che mettiamo di tasca nostra". Dopo la cena, le energie si esauriscono. Alle nove c’è già chi dorme. Antonino si passa una spazzola di saggina sulle mani, la polvere cola nel lavandino, le scaglie di cemento restano, come una seconda pelle di cui non vuole e non può liberarsi.