DUCCIO MOSCHELLA
Cronaca

"Non siamo condannati alla violenza". Betori indica la via che porta alla pace

Tra le ferite da sanare non solo la guerra, ma crisi aziendali come l’ex Gkn, la mancanza di alloggi, le carceri disumane

L’annuncio degli angeli ai pastori di Betlemme e il loro canto “Gloria nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama“ risuona in questo Natale in maniera più significativa rispetto al passato. Il cardinale Giuseppe Betori nell’omelia della Notte della Natività, forse l’ultima da arcivescovo di Firenze a meno di ulteriori proroghe alla rinuncia canonica presentata al compimento dei 75 anni, nel 2022, non ha mancato di sottolineare la contemporaneità del testo evangelico: "Sono così tante le offese alla pace attorno a noi per non sentire questa rivelazione come una fonte di gioiosa speranza. - ha scandito - Sono parole che ci svelano che questo nostro mondo non è condannato inesorabilmente alla tragedia della violenza: nelle guerre che insanguinano tante regioni del mondo, travolgendo i diritti umani e il diritto dei popoli; nei rapporti tra uomo e donna, quando la volontà di possesso giunge fino al crimine del femminicidio; nella diffusa violenza che si propaga nella società, in specie tra i giovani; nella non meno rovinosa violenza delle parole, che inquina i rapporti e la corretta visione delle cose. Non siamo condannati a tutto questo, - ha continuato - non perché abbiamo in noi le risorse per cambiare la rotta, ma perché l’amore di Dio non ci abbandona e da questo amore possiamo trarre le risorse perché la pace torni a regnare sulla terra". La prospettiva di un futuro più sereno passa però da una situazione oggettiva: "Nella nascita del Figlio di Dio in condizioni di estrema povertà, si potrebbe dire anche di disumanità, c’è la condanna di ogni modo con cui gli uomini pensano di raggiungere la pace: - spiega il cardinale - quando si propongono di sottomettere un altro popolo al proprio ordine; quando rifiutano la convivenza, considerandosi gli uni gli altri non figli di un unico padre, e quindi fratelli, ma nemici per sempre; quando si nega la libertà dell’altro, in specie dell’altra, per ridurla in proprio potere; quando si cerca di imporre agli altri la propria opinione, con il peso delle convenzioni sociali, del pensiero unico, del politicamente corretto, del consenso dei più".

Ecco dunque che la pace riguarda anche le relazioni sociali, quindi le situazioni in cui "viene di fatto ferita si allargano ben oltre". Il cardinale fa alcuni esempi: "Le crisi di aziende in cui non si trova la strada per cercare insieme soluzioni che garantiscano il lavoro e il futuro di tante famiglie, e qui la nostra viva preoccupazione è per l’ex Gkn e su altre aziende del territorio in difficoltà; la mancanza di alloggi accessibili a tutti, un problema da affrontare dando alla casa un ruolo prioritario negli assetti urbanistici delle nostre città, a cui poi far corrispondere adeguati servizi che facciano da sostegno a un tessuto sociale umanamente sostenibile; le condizioni inumane delle nostre carceri, in cui si punisce, ma non si sostengono adeguati percorsi di recupero che portino alla rigenerazione umana e sociale dei detenuti, scatenando quindi l’inesorabile reiterazione dei reati; la povertà educativa che segna le nuove generazioni, in cui la dipendenza dal mondo dei social prende il sopravvento su tutte le agenzie educative tradizionali - famiglia, scuola, le stesse comunità parrocchiali -, esse stesse in crisi". Ma la risposta c’è e viene da Betlemme: "È anzitutto a un cambiamento di sguardo, quello che Papa Francesco sollecita con il richiamo a guardare i problemi a partire non dal centro - politico, economico, culturale, anche ecclesiale - ma dalle periferie. Il rovesciamento di prospettiva è il primo passo da fare".