Mugnone in secca tutto da pedalare E dal torrente spuntano strane fibre

L’ipotesi degli scarichi dei funaioli venuti alla luce con la siccità. I cittadini: "Analisi per capire di cosa si tratta"

In questa estate torrida e siccitosa, con l’acqua razionata per orti e giardini e il verde cittadino che sta decisamente virando la sua colorazione verso il giallo deciso, succede anche che Il letto di un torrente diventi asciutto al punto da diventare una pista da bike crossing. Per un’avventura desertica in mezzo a una delle più popolate periferie cittadine.

Basta osservare l’alveo del Mugnone a nord di Firenze. Il torrente è per quasi tutto il suo percorso all’asciutto. Solo in alcuni tratti è ridotto alla minima pozzanghera, in piazza Dalmazia qualche nutria e pochi paperi sono costretti ad accontentarsi dell’acqua stagnante, in viale Milton tutto quello che resta è un rigagnolo d’acqua sporca, ma per il resto l’alveo è completamente secco.

Così, in sella a una Mtb, c’è stato chi ha deciso di farsi un bel giro dalla confluenza del Mugnone con il Terzolle fino alla sua foce in Arno all’altezza delle Cascine. Qualche chilometro tutto da scoprire.Per scendere sul letto del fiume è bastato scavalcare una spalletta all’altezza della confluenza fra il Terzolle e il Mugnone, sotto il ponte dedicato a Margherita Hack fra via Mariti e viale Redi, e da lì seguire il torrente fino al ponte dell’Indiano e alla confluenza del Mugnone con l’Arno. A parte qualche sasso da aggirare, un inedito percorso sia dal punto di vista ambientale, sia per per la diversa visuale della città. Quella che in condizioni normali non è visibile.

Per esempio tutto l’alveo è ricoperto da quello che sembra, in tutto e per tutto, un tappetino di cotone dello spessore di qualche millimetro. In qualche punto lo strato si è scoperchiato esattamente come farebbe un tappeto.

Difficile individuare ad occhio nudo di cosa si tratta, forse qualche scarico, qualche residuo di lavorazione finito nel fiume. Magari – è la nota dell’esploratore – qualche analisi più approfondita non guasterebbe. Giusto per tranquilizzare chi vive in questa vasta parte della città. Anche per scongiurare il sospetto di qualche fibra di amianto di troppo.

La storia potrebbe forse offrire una risposta: in zona Cure, in passato, lavoravano numerosi funaioli e curandai che, con la loro attività, hanno probabilmente rilasciato una tale quantità di fibre che a distanza di decenni tuttora ricoprono in modo uniforme il fondo del torrente. Ipotesi suggestiva e un po’ romantica.

Ma, per togliersi ogni dubbio, sarebbe forse meglio fare un’analisi chimica della composizione di questo tappetino fibroso che, invece, lascia aperto qualche interrogativo.

Pa.Fi.

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