di Teresa Scarcella
FIRENZE
Hanno età diverse, vivono in varie zone d’Italia, non si conoscono. Ma, purtroppo, hanno qualcosa in comune. Tutte hanno subito un abuso sessuale. Sono le testimonianze che ’Non Una di Meno Firenze’ ha deciso di portare per strada, tappezzando le vie del centro. "Per sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche che finiscono per essere manipolate da una narrazione sbagliata e nociva – spiegano le attiviste – che punta il dito verso la vittima, la colpevolizza, le affibbia responsabilità che non ha. Su una vittima di violenza nascono ogni volta domande sul suo abbigliamento, la sua lucidità o la sua disponibilità. Invece l’aggressore perde i suoi tratti umani e prende quelli animaleschi della “bestia” o del “lupo”. Come se non avesse capacità di pensiero e di scelta. Così si allontanano le colpe dal genere maschile e si attribuiscono a una cerchia ristretta. Non è così e queste storie confermano".
I messaggi sui muri sono stati estrapolati da quelli raccolti sui social da un’autrice attivista che vive a Milano, Carolina Capria. Sul profilo Instagram “L’ha scritto una femmina” ha creato una rubrica dal nome “Yes all women”, in antitesi con quel “non tutti gli uomini” che è l’obiezione retorica tirata fuori ad ogni storia di violenza di genere. Questa rubrica dimostra che tutte, almeno una volta nella vita, hanno subito una molestia. Esplicita o meno. "Ero molto piccola, forse 5 o 6 anni – scrive una donna – ero a casa dei miei nonni e giocavo sul divano con mio zio. Giocavamo a fare la lotta quando lui, ad un certo punto, mi ha messo le mani addosso". "Avevo 14 anni, ero in Belgio per una vacanza studio. – racconta un’altra – Una sera eravamo in un bar, c’erano anche i miei genitori, quando un ragazzo ha messo qualcosa nel mio bicchiere mentre rideva con un suo amico. Ho avuto paura". E poi ancora:
"Avevo 10 anni, avevo da poco perso mia madre. Passavo molto tempo a casa della mia migliore amica. Suo padre era molto gentile con me, poi sono cominciate le carezze, prima sulla guancia, il collo, la coscia. Diceva che lo faceva perché mi voleva bene. Poi ha iniziato a toccarmi... io ero paralizzata".
Storie che fanno rabbrividire, nelle quali però molte donne possono riconoscersi.
Di messaggi come questi, sul profilo di Capria, ce ne sono centinaia. A conferma che non sono casi isolati e che è un fenomeno culturale, trasversale.
"E come tale va trattato. – concludono le attiviste – Parlare di inasprimento della pena, serve a poco se poi non si lavora sul loro reinserimento nella società. È necessario lavorare sull’educazione, fin da piccoli. È evidente che la cultura dello stupro è radicata anche nelle nuove generazioni. Da qui l’importanza di portare nelle scuole l’educazione emotiva, sessuale. Per insegnare fin da subito cosa è giusto e cosa è sbagliato".