La libertà? Bene comune in democrazia

Benedetta

Baldi *

La discussione sulla certificazione vaccinale Covid-19 che da mesi polarizza l’attenzione e i comportamenti delle persone induce a qualche considerazione sul significato della libertà che alcuni ritengono violata. Posizioni ideologiche e narrazioni astoriche hanno favorito un pensiero contradditorio proprio là dove si radicano i valori della democrazia e delle libertà. Valori che vedono nell’essere umano il depositario di diritti inalienabili, fissati nella Déclaration des droits del 1789, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, e nella nostra Costituzione. Libertà di pensiero e di espressione sono capisaldi contro il rischio di concezione totalitaria e confermano i diritti delle minoranze. Forse il senso di limitazione determinato da tecnologizzazione e complessificazione della società vede nel rifiuto del certificato una testimonianza di diritti che oscura però la verità fattuale e maschera la disuguaglianza del contagio. John Stuart Mill ricorda che la libertà del singolo non può essere a danno della collettività: in questo caso entra in campo il giudizio morale. Quindi, la libertà è un bene la cui interpretazione autentica non appartiene a un’élite, ma è un bene comune, democratico, come infatti dicono, tra gli altri, gli articoli 2 e 21 della Costituzione. I lunghi mesi di clausura, forse, non sono passati senza effetti, favorendo una sorta di naturalismo, di iperumanesimo elementare evocato contro ogni esperienza antropologica, che i social media hanno rafforzato senza restrizioni, in un clima di forti contrasti. Questo è un rischio per la libertà di ciascuno in quanto può minare il valore originario che hanno la presenza e il dialogo costruttivo nel favorire il pensiero critico, tanto più irrinunciabile nei luoghi della formazione, scuola e università.

* Presidente Corso di Studi in Scienze Umanistiche per la Comunicazione

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