Giancarlo Vergelli graziato da Mattarella, lacrime di gioia accanto alla figlia

Vergelli, di 88 anni, era stato condannato il 22 febbraio 2016 dalla Corte d'appello di Firenze a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie 88enne malata di Alzheimer

Giancarlo Vergelli subito dopo l'omicidio della moglie (Foto NewPressPhoto)

Giancarlo Vergelli subito dopo l'omicidio della moglie (Foto NewPressPhoto)

Firenze, 16 febbraio 2019 - «Illustrissimo Presidente, mio padre ha commesso il più grave dei crimini, mio padre ha ucciso mia madre. La tragedia ha attraversato la mia famiglia, ciclicamente, quasi fossimo predestinati ad una coazione a ripetersi che sembra non voler risparmiare nessuno. Perché s’interrompa questa spirale, dove la morte violenta sembra volerci prendere tutti, chiedo la Grazia». Comincia così, l’istanza di sospensione della pena inviata a Mattarella, scritta da Silvia, la figlia di Giancarlo Vergelli, con l’aiuto del suo legale, l’avvocato Valentina Bernardi. Nel marzo del 2014, Vergelli uccise la moglie, Nella Burrini: era malata, tanto malata.

Vergelli, commerciante di prodotti sanitari in pensione, temeva che il fardello della madre potesse ricadere sui figli e nipoti. Decise lui di farsene carico. «Negli ultimi anni di vita la mamma ha manifestato un decadimento cognitivo progressivo e inarrestabile. Negli ultimi mesi è stata colta da un franco delirio, associato ad incapacità motoria e perdita di ogni autonomia», racconta ancora la figlia.

«La notte della tragedia tutto è precipitato in un delirio a due; lei urlava dal pomeriggio, lui ha cercato di sedarla aumentando le dosi di tranquillante prescritto, forse si è innescato il cosiddetto effetto paradosso, la mamma è diventata incontentabile. Anche lui, ad un certo punto, ha assunto un potente sonnifero per cercare di dormire un po’, ma non ha potuto riposare, neppure un attimo, perché la mamma continuava a invocare aiuto. Mio padre ha sentito che le sue capacità di resistenza erano al limite; ha pensato che per mamma quella non fosse più vita, si è chiesto se quella donna che tanto amava, preda di incubi atroci, incapace di alimentarsi, di riconoscersi e riconoscerci, sofferente oltre ogni immaginazione, avesse torto nell’agognare la morte. Sentendosi lui stesso mancare, ha atteso che la mamma si addormentasse e quando l’ha vista finalmente serena, ha esaudito il suo radicato desiderio: passare dal sonno alla morte e non soffrire più».

stefano brogioni

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