Fu sepolto vivo dai nazisti nel ’44 I nipoti fanno causa alla Germania

Katia e Sergio decisi a onorare la memoria del nonno partigiano Egidio Gimignani. Il Comune sostiene la famiglia

Torturato e sepolto vivo. Così morì, nel 1944, Egidio Gimignani per mano dei nazifascisti. Oggi i nipoti chiedono giustizia. E un risarcimento alla Germania. Il 20 giugno Gimignani, partigiano, boscaiolo quarantenne di Tavarnelle venne brutalmente ucciuso per non essersi fatto delatore dei compagni.

Qualche giorno prima, infatti, in quella estate intrisa di sangue e morte, il 13 giugno, si era verificato uno scontro a fuoco da cui era rimasto ucciso un soldato germanico. A seguito di questo episodio i tedeschi durante un rastrellamento catturarono Egidio. Accusato di far parte del gruppo perché trovato in possesso di un fazzoletto rosso. Nel tentativo di salvare i propri ideali e i compagni appartenenti alla formazione "Faliero Pucci", subì terribili torture fisiche e psicologiche prima di essere seppellito vivo e lasciato morire agonizzante in una fossa che i cugini furono costretti a scavare.

Quel fazzoletto rosso conservato in tasca fu la carta di identità di Egidio Gimignani. E in ricordo di quel fazzoletto rosso carico di ideali e valori, Katia e Sergio Poneti, nipoti di Egidio Gimignani, chiedono giustizia. E l’ammissione di una responsabilità al governo tedesco.

Il Comune di Barberino Tavarnelle, nell’ambito della rete regionale dei comuni colpiti dalle stragi nazifasciste, affianca e sostiene l’iter giudiziario dei nipoti del partigiano di San Donato in Poggio che hanno presentato un atto di citazione per chiedere un risarcimento danni alla Germania. La prima udienza si terrà nel mese di novembre.

"Siamo sempre stati orgogliosi della figura del nostro nonno e della sua lotta politica per la libertà e la democrazia, anche se non è stato sempre facile convivere con la ferita costantemente aperta nel cuore di nostra madre", commentano Katia e Sergio Poneti. "Quando abbiamo saputo del fondo – aggiungono Katia e Sergio - non abbiamo esitato a decidere di far partire la causa, anche se inizialmente era previsto solo il termine di 30 giorni, per questo vogliamo ringraziare lo studio legale che ci segue che ha predisposto gli atti in tempi brevissimi".

Andrea Settefonti

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