Firenze, la protesta di via Gioberti. 'Se non si cambia riapriamo lo stesso'

Lettera dei commercianti inviata al premier Conte e al ministro Speranza. "Siamo stanchi e sfiduciati. I divieti? Se non cambia nulla non li rispetteremo"

Alcune commercianti delle Cento Botteghe di via Gioberti

Alcune commercianti delle Cento Botteghe di via Gioberti

Firenze, 19 novembre 2020 - Imbrogliati , traditi, arrabbiati. Fra i negozianti di via Gioberti, quelli che appartengono alle (poche) categorie che l’ultimo Dpcm ha fatto cadere sotto la mannaia della ‘stretta necessità’ e non possono restare aperte si respira aria di rivolta. "Siamo stanchi – spiega per tutti il presidente dell’associazione Le Cento Botteghe, Danilo Bencistà – perché non si incassa niente, ma le tasse vanno pagate lo stesso, gli affitti anche, e abbiamo i negozi pieni di merce che resterà invenduta e dobbiamo comunque pagare ai fornitori". Così ieri hanno inviato un’accorata lettera al premier Conte, al ministro Speranza, al governatore Giani e al sindaco Nardella. Se non consentiranno loro di riaprire il 3 dicembre questa volta sono pronti anche alla disobbedienza civile. "Apriremo lo stesso – spiegano – perché Natale è la nostra ultima possibilità. E non possiamo stare a guardare Amazon che distribuisce merce ovunque". Ieri si sono radunati in strada per spiegare le loro ragioni, per urlare la rabbia. Che senso ha – insistono – che chi vende abbigliamento e biancheria intima o pigiami possa restare aperto, oppure chi vende abiti per bambini. Davvero si pensa che è solo nei negozi di abbigliamento, di calzature, nelle oreficerie che ci sia il rischio contagio? "Non ci sono assembramenti nei nostri negozi – spiega Patrizia che vende abbigliamento – se teniamo aperti almeno possiamo combattere per non morire. E poi se non abbiamo il diritto di lavorare allora non dovremmo avere nemmeno il dovere di pagare le tasse, invece...". Le fa eco Massimo che vende orologi: "Dicono che così ci salvano la vita dal virus, ma in questo modo distruggono il Paese". Un fiume in piena di proteste e recriminazioni. Alessandra vende calzature e non si da pace: "Perché non danno anche a noi la possibilità di vendere su appuntamento. Scaglionando le presenze. Non è difficile, possiamo farlo e rispettare così tutte le norme anti Covid". Al suo fianco un collega aggiunge: "A Campo di Marte chiudono i negozi sullo stesso marciapiede. Non vogliamo fare la stessa fine". E poi arriva di corsa Loredana, anche lei vende abbigliamento. E’ furiosa. "Ero in negozio e lavoravo al computer – racconta – sono arrivate due donne e hanno bussato al vetro. Ho fatto cenno di no. Che eravamo chiusi. Allora mi hanno mostrato il tesserino della polizia municipale e mi hanno detto che dovevo spegnere le luci e tenere chiuso il bandone. Ma se il bandone manco ce l’ho!". "Così ci fanno morire – chiosa Bencistà – ma noi siamo pronti a combattere".  

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