Centro storico, i residenti sono solo 65mila E le grandi holding comprano di tutto

L’analisi del VII rapporto Urban@it. Forte migrazione verso i comuni della cintura metropolitana, che faticano a gestire i servizi

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Non è una sensazione. I residenti del centro storico hanno ragione: stanno velocemente sparendo. La Relazione sulla performance 2020 redatta dall’Ufficio

statistica del Comune parla chiaro: nei soli primi sei mesi del 2020 il centro storico ha perso 1.154 residenti, con una popolazione scesa a poco meno di 65 mila (l’1,75% in meno). Quasi il triplo delle media del calo dei residenti italiani, lo 0,6% (dati Istat). Da tempo ormai Palazzo Vecchio si dichiara impegnato nella campagna di ripopolamento del centro, ma il dato di fatto è che dal 2015 in poi, a far data dall’ultimo consistente incremento dei flussi turistici, i servizi alla residenza sono stati sostituiti con una pluralità di funzioni esclusivamente per turisti. Ad accendere i riflettori su "Chi possiede la città? Proprietà, poteri, politiche" E’ il VII rapporto Urban@it (associazione che raggruppa 16 università italiane) curato da Camilla Perrone, Annick Magnier e Massimo Morisi che sarà presentato domani a Palazzo Incontri (Via dei Pucci 1 dalle 16 alle 19).

"La macchina della monocultura turistica – sostiene Morisi nella sua relazione – con il fenomeno degli airbnb ha letteralmente espulso i residenti dal centro proiettandoli nei comuni della cintura, vere e proprie migrazioni dal capoluogo ai comuni confinanti, migrazioni che hanno imposto una pressione abitativa, un innalzamento dei costi e una richiesta di servizi difficilmente gestibili dai comuni di prima corona". In realtà che i 500 ettari del centro storico fossero divenuti una "macchina di perversa bellezza" lo aveva già denunciato vent’anni fa il recentemente scomparso urbanista Giancarlo Paba. Una macchina fortemente selettiva ed escludente, a dispetto del suo valore di Patrimonio universale riconosciutogli nel 1982 dall’Unesco. La riprova si è vista nella desolante desertificazione del centro, ampiamente documentata durante la pandemia, per l’assenza del turismo internazionale.

Ma a cambiare l’anima della città ha contribuito anche la rigenerazione dei cosiddetti grandi vuoti urbani. A Firenze – è la denuncia del rapporto – la maggior parte di questi spazi residuali deriva da processi di dismissione e di privatizzazione di proprietà pubbliche o appartenenti a patrimoni ecclesiastici sono quindi luoghi di alto pregio che hanno acceso gli interessi delle grandi holding immobiliari internazionali. Ne sono esempi l’ex Ospedale militare di San Gallo, la Manifattura Tabacchi, la ex Scuola di sanità militare di costa San Giorgio, l’ex Teatro comunale, palazzo Portinari Salviati, l’ex Monte dei pegni di via Palazzuolo, l’ex sede della Cassa di risparmio di via Bufalini che sono stati acquistati da gruppi come The Student Hotel, Aermont Capital LLP, Hines e il Fondo Sovrano del Qatar, Colony Capital, Leeu Collection, BLConsulting, Art Invest Real Estate, Lionstone Development, Gruppo LDC (Luxury, Dreams & Culture), recentemente sulla cronaca per l’acquisto di Palazzo Portinari Salviati e Palazzo Serristori, entrambi destinati a ospitalità e residenze di lusso. Infine, FS Sistemi Urbani e InvimitSgr, Spa controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, hanno acquisito l’area ex Officine grandi riparazioni (Ogr) di Porta al Prato e numerose abitazioni.

Una città che in gran parte ha quindi già cambiato pelle e deve prepararsi ad affrontare la crescita dei nuovi flussi turistici preannunciata per i prossimi anni. Per contrastare l’over tourism del centro storico Palazzo Vecchio cerca da tempo di differenziare i percorsi turistici anche nell’area metropolitana, o con una app che possa indicare in tempo reale ai visitatori i luoghi meno affollati. Ma il tema resta rovente e lo dimostra la polemica già innestata sulla possibilità di scale mobili per Villa Bardini e il Forte Belvedere. Con un unico grande timore: un altro polo accentratore di turisti.

Paola Fichera

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