Cavallini e la forma della memoria

Il ricordo degli orrori della guerra e della prigionia segnano in modo indelebile la sua espressione artistica.

Sauro Cavallini, nato nel 1927, a 13 anni si rifiutò di partecipare alle adunate dei giovani del fascio. A 16 fu arrestato dalla polizia nazifascista, con la falsa accusa di essere un partigiano e recluso nel campo di Gradaro (Mantova), dove rimase scampando ai campi di sterminio tedeschi. Nel campo, senza porte né finestre, le punizioni erano frequenti, il cibo scarso, le condizioni igieniche precarie e il lavoro massacrante. Più di una volta tentò di scappare senza riuscirci. Malato, venne trasferito in un ospedale, da dove ricominciò la propaganda contro l’invasione nazista, fu nuovamente arrestato ma venne liberato senza processo. Tornato dalla famiglia passò il tempo a cercare di salvarsi dagli attacchi su Firenze. Alla fine della guerra esternò i suoi terribili ricordi attraverso degli scritti autobiografici. Quando iniziò a praticare la scultura, a circa 30 anni, quegli incubi presero inevitabilmente forma e si tradussero nelle sue prime opere d’arte tra il 1961 e il 1963, mai esposte fino ad oggi. Da quel momento in poi l’unico scopo della sua arte fu comunicare la pace.

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