Firenze, 23 maggio 2022 - Trent’anni dopo nulla è sparito di quell’orrore: l’asfalto che esplode, le auto che saltano in aria, le urla, il sangue, la morte. Il 23 maggio 1992 Angelo Corbo era un giovane agente della scorta di Giovanni Falcone. E quella mattina, a bordo di una Fiat Croma, sull’autostrada per Palermo seguiva con altri due colleghi la macchina del giudice che aveva dichiarato guerra alla mafia. E che la mafia, quello stesso giorno, avrebbe ucciso nella strage di Capaci. Angelo Corbo, sopravvissuto all’esplosione, decise di continuare a fare il poliziotto. Chiese il trasferimento, prese sua moglie e il figlio di sette mesi, e venne a lavorare a Firenze. Dove è restato. Ma l’incubo di Capaci non lo ha mai abbandonato. Come passerà questa giornata? "Sarò a Suvignano in provincia di Siena, nella più grossa tenuta al Nord confiscata alla mafia per un’iniziativa della Fondazione Caponnetto. Abbiamo mille studenti da tutta la Toscana, che si prenderanno per mano per formeranno una scritta: “per non dimenticare“. Una volta quella tenuta era proprietà di Vincenzo Piazza, un prestanome di Provenzano". Cosa dirà a questi ragazzi? "Io amo parlare ai giovan i. E la prima cosa che dico è che la mafia non è solo quella che immaginiamo, ma è mafia anche i comportamenti di non rispetto verso chi ci sta accanto. Non è un problema solo di alcune regioni, quali la mia che sono siciliano, ma di tutti, perché l’atteggiamento mafioso può essere dentro di noi. Del resto, neppure in Toscana va tutto bene. Suvignano dimostra che loro ci sono". Cosa ricorda del 23 maggio 1992? "Tutto, è impossibile dimenticare, quel giorno è perennemente impresso nei miei occhi e nella mia mente". Secondo lei in trent’anni si sono fatti passi avanti nella verità sulla strage di Capaci? "Qualche passo in avanti ...
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