MAURIZIO COSTANZO
Cosa Fare

Idee, forme e "Generazioni". Il '77 tradotto in opere d'arte

La mostra di due artisti fiorentini a Palazzo Panciatichi

La mostra 'Generazioni'

Firenze, 5 giugno 2016 - Due artisti fiorentini a confronto: da una parte Emanuele Capozza, architetto e pittore quarantenne, che con la sua opera poetica ha saputo conquistare la Russia, ritraendola nei suoi paesaggi più suggestivi in maniera coinvolgente e romantica. Dall’altra Tommaso Rossi, stessa età, che nelle sue opere non rinuncia alla provocazione, lasciando percepire una ricerca introspettiva sui valori della vita.

Insieme danno vita alla mostra ‘Generazioni’ - nel senso di generazione 1977, il loro anno di nascita, ma anche di germinazioni, vitali proliferazioni di idee e forme – che rimarrà esposta fino al 6 giugno a palazzo Panciatichi. Pittura e installazioni pop: ossia panorami suggestivi da una parte, e le provocazioni di Tommaso dall’altra: come un piccolo pupazzetto Superman, più umano che super eroe, appoggiato e dolente alla schiena, sovrastato da uno dei quadri Emanuele; o il coniglio che fa yoga, denuncia sarcastica della facilità borghese.

“Due giovani fiorentini specchio della loro terra – spiega Eugenio Giani – in grado però di rappresentarla in maniera opposta: da una parte i sogni malinconici e poetici di Capozza, mentre dall’altra, in totale collisione, la crudeltà artistica di Rossi. Questa mostra offre dunque una riflessione molto profonda su quale tipo di società i giovani artisti di oggi vedono e quale vorrebbero”.

“Si stratta di due approcci all’arte apparentemente lontani: intellettualistico, concettuale quello di Tommaso; lirico, sentimentale, strenuamente formale quello di Emanuele – spiega il critico d’arte Alessio Martini -. Ma il panorama è cangiante e questi ruoli non appena stabiliti stingono l’uno nell'altro: le provocazioni filosofiche di Tommaso diventano rigorosa ricerca di forme, e viceversa le colate materiche così delicatamente organizzate di Emanuele suggeriscono aeree astrazioni, innescano le vertigini del sogno. In un’altalena serrata di rimandi, i lavori di Tommaso, che ora sembrano scherzi, pause di gioco dopo il calor bianco dei vulcani di Emanuele, un attimo più tardi appaiono severe provocazioni filosofiche, caustici richiami alla nostra responsabilità di uomini distratti dal nostro tempo personale, individui persi nello sperpero del tempo che ci rimane da vivere: e i paesaggi di Emanuele diventano diversivi fantastici, rêveries, evasioni nell’universo del colore, dello spessore, della materia, ora fluida ora graffiata.

Contro le vedute esotiche di Emanuele si staglia allora il coniglio che fa yoga, denuncia sarcastica di una insopportabile facilità borghese nell’avvicinamento dei grandi quesiti dell’esistenza: lo spreco di vita dell’uomo-coniglio, il gregarismo, la rinuncia all’identità. Si arriva fino all’ultima resa dei conti con la natura: quegli animali sono veri e sono trasfigurazioni della tassidermia, sono natura e sono anche arte: umani non solo per metafora, perché sono oggetti trasformati dall’uomo, eppure ‘sono’ di fronte a noi proprio come ‘erano’ davvero. E i paesaggi di Emanuele sono occasioni naturali, ma totalmente riorganizzate dall’artista: fusioni, incendi materici, sogni come i sogni del mattino, quelli più veri, quelli che rispondono a una sollecitazione profondamente reale. Ecco allora che l’apparente lontananza degli artisti si riduce drasticamente, che l’accoppiamento che sperimentiamo appare quanto mai giudizioso, e la ‘generazione’ che ne deriva, un’esperienza di cui siamo a Emanuele e Tommaso sinceramente grati”.