
Nel cast, oltre a De Niro e Walken, anche Meryl Streep e il compianto John Cazale.
Firenze, 22 gennaio 2024 - Prima, durante, dopo. Forse ha ragione chi ha paragonato il film all'Orestea di Eschilo: come l'ultima trilogia scritta dal drammaturgo greco, "Il cacciatore" di Michael Cimino è la tragedia di quelli che non tornano, di vite spezzate, mutilate, precipitate per sempre dentro un inferno senza uscita. Accade oggi, fra le case abbandonate di Kiev e i palazzi sfigurati di Gaza, accadeva nel 1978, quando a soli tre anni di distanza dalla rovinosa sconfitta a Saigon, uno dei maestri della New Hollywood decise di non portare al cinema le immagini del conflitto - confinate nella parte centrale e più breve del racconto - ma le sue drammatiche conseguenze sulla quotidianità di tre giovani amici - Mike (Robert De Niro), Nick (Christopher Walken), Steve (John Savage) - appartenenti alla working class della provincia americana.
Capolavoro insuperato, premiato con cinque Oscar - film, regia, sonoro, montaggio, attore non protagonista - e inserito al 53esimo posto nella classifica all time dell'American Film Institute, oggi torna in sala dopo quasi mezzo secolo restaurato da Lucky Red in una nuova versione in 4k, che sarà disponibile sui principali schermi fiorentini - Uci Cinemas, Space, Portico, Astra, Principe - fino a mercoledì. Storia dolente di amicizia e formazione individuale, ma anche ritratto di un'intera generazione che perse la verginità tra le ceneri dei miti dei suoi padri: dall'idea della guerra giusta e necessaria - suggellata dalla vittoria contro i nazisti nella Seconda Guerra mondiale - alla possibilità di governare la natura - leggasi, la conquista del West - con lealtà e razionalità.
La retorica del "colpo solo", adottata da Mike durante le battute di caccia con i compagni, viene ribaltata in un rovescio simmetrico quanto agghiacciante quando i tre amici piombano nel caos della giungla e della guerra, dove la sopravvivenza viene affidata alla casualità brutale della "roulette russa", prima strumento di tortura dei vietcong nei confronti dei prigionieri, e poi accettata passivamente dal corpo senz'anima di Nick, svuotato nel celebre rendez vous finale con Mike di qualunque attaccamento alla vita. Ma nel lutto di un popolo che piange la perdita dei suoi figli, resta sempre il canto della speranza, prima sussurrato, poi urlato a squarciagola, come atto di orgogliosa resistenza e disperato vitalismo di fronte all'inesorabile presenza dell'orrore e della morte: God Bless America.